Largo ai… SOLITI!

Speranze, “anzianotti” e chiacchiere da bar.

Nel grande calderone dell’universo tennistico, negli anni, sono entrate ed uscite centinaia e centinaia di personalità: enfant prodige, campionissimi e onesti mestieranti, di ogni categoria e genere.
Andando ad analizzare il trend del tennis moderno, e per moderno intendo contemporaneo, vediamo come l’esperienza e la maturità paghino maggiormente rispetto alla gioventù di un “under”.
Dove sono finite, dunque, le Seles, le Hingis, le Graf, o ancora i Borg, i Becker o i Wilander?
I nostalgici lo vedranno come un benemerito ennesimo e deliberato attacco al tennis modalità triathlon degli ultimi anni; ma il dato che ci fa riflettere, non ce ne vogliano i Maestri Federali, è che la cultura dell’over 30 sta diventando sempre di più una scuola di pensiero, quando molti giornalisti o esperti del settore definiscono “troppo piccoli” o “ancora inadatti” ragazze e ragazzi di quasi vent’anni. Anche qui, manco a farlo apposta, i pareri si spaccano in due, e forse anche più di due. Nel circuito femminile, a dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, siamo li: sono 7 le Top-40 over 30, mentre sono solo 3 le Top-40 under 21. Troppi numeri?

A fronte di questi dati, dobbiamo osservare come, dallo scorso decennio, andando a ritroso, la linea immaginaria dei 30 anni veniva considerata come un punto di non ritorno per un tennista al vertice, soprattutto dal punto di vista fisico.
Uno dei motivi poteva essere proprio la carriera giovanile di un atleta, intensa e logorante, specie se inquadrata nell’ottica degli anni a venire.
Le statistiche dicono che, a fronte di un innalzamento dell’età media (viste anche le limitazioni al numero di tornei giocabili per un under 16 negli uomini e per un under 18 nelle donne), i ritiri precedenti al 22esimo anno di età nei top 150 si sono molto ridotti (meno dell’1% rispetto ad un 7% nel 1994). La stessa Allaster (presidentessa WTA, n.d.R), in un’intervista rilasciata al Wall Street Journal, ha affermato quanto sia fondamentale il fattore della continuità nei due circuiti, sia per il business tennistico, sia per l’appetibilità di questo mondo, dentro e fuori dal campo.
Che il grande pubblico si aspetti sempre qualcosa di nuovo, è perfettamente lecito, e di conseguenza, sono in aumento, purtroppo, i casi di overload di tensione e pressioni: sostanzialmente non riusciamo più a lasciar crescere un atleta e ad accettarne tempi di maturazione e cali fisiologici.
La pericolosità di tale situazione è evidente, con le promesse che, seppure con la bisaccia vuota, avranno sempre qualcosa da perdere pregiudicando il risultato finale, e i vari comprimari dei campioni in cima al ranking che si troveranno sempre più in difficoltà nell’emergere, sviluppando una maggiore instabilità psicologica applicata al campo ed una maggiore paura del risultato.
Janowicz, Paire, Dimitrov, Goffin, Tomic, lo stesso Fognini, solo per scorrere la Top 100.
Io mi chiedo: dove arriverà il punto di rottura tra l’interesse mediatico ed il risultato a livello pratico? Dove finiscono le domande ed arriva il successo tanto atteso? Quando ci stancheremo dei prospetti e sosterremo anche i loro momenti bui?
Domande davvero troppo toste.
Mentre parliamo di giovinotti intenti a leccarsi le ferite, chi di ferite non sembrerebbe mai averne avute, sono questi “matusa” arrembanti con le spalle larghe e preparatori atletici degni di uno Strongman.
Ferrer, Haas, Robredo, Youzhny, Lopez, Melzer, Benneteau, Tursunov, Stepanek, Nieminen, Hewitt, Mahut…
Potrei continuare a lungo, ma penso di aver reso l’idea!
Nella Top-40 ci sono ben 9 over 30, ma se abbassiamo l’età minima di un paio d’anni…
Ebbene 20 giocatori sui primi 34 hanno più di 28 anni!
Ed i giovani, direte voi? Nella Top-50 abbiamo solo 3 giocatori sotto i 23 anni, vale a dire Raonic, Janowicz e Dimitrov, mentre di under 21 neanche l’ombra, con la miseria di 2 unità nei primi 150, ossia Tomic e Vesely!
Se andiamo a guardare i vincitori dei vari tornei di questo 2013, i nomi sono i soliti:
Auckland e Buenos Aires: Ferrer, Casablanca e Umago: Robredo, Monaco: Haas, Nizza: Montanes, s-Hertogenbosch e Newport: Mahut, Eastbourne: Lopez, Bastad: Berlocq, Bogotà: Karlovic, Gstaad: Youzhny, Winston Salem: Melzer, oltre al successo di Federer ad Halle.
Sebbene nel femminile la situazione sembra stare cambiando, con l’ascesa delle varie Bouchard, Stephens, Robson, Svitolina, Puig e chi più ne ha più ne metta, nel tennis maschile, come si può ben vedere, niente di nuovo all’orizzonte. I tifosi “talent-scout” faticano a trovarsi un idolo rampante, andando a scomodare addirittura Nick Kyrgios, australianino di belle speranze, Kyle Edmund per un dopo Murray, Christian Garin, terraiolo new age e, per dirne uno che fa al caso nostro, il Quinzi nazionale.
In questa epoca di chiacchiere, vuote più che realmente edificanti, il dualismo tra anzianotti arzilli e giovani costretti ai margini è pane quotidiano, ma spesso il discorso si va a perdere nelle chiacchiere da bar. Magari di bar di tennisti ce ne sono pochi, ma chi ne mastica anche di calcio sa dove voglio andare a parare.
Non meravigliatevi se nella vostra testa rimarrà soltanto uno spaesato “E quindi?”, visto che ad ora non sembrano esserci contromisure in atto, ne’ da una parte ne’ dall’altra.
Siamo arrivati al punto in cui un tennisofilo non può far altro che attendere con ansia quei 20/30 ritiri dei suddetti tennisti che, francamente, non dovrebbero essere eventi da festeggiare.
In giro si legge “Malisse e Nalbandian appendono la racchetta al chiodo? Fuori due!” e, sinceramente, credo che bestemmie più di queste ce ne siano poche.
Inneggiare ad una controtendenza è una cosa, ma sminuire questi bravi giocatori, troppo in la per continuare nonostante il bel tennis espresso, è troppo semplicistico, davvero ingiusto.
Un tifoso vero, un fruitore dell’arte del tennis, dovrebbe, a mio personalissimo avviso, sostenere i giovani e spingerli con il tifo fino ad insidiare i grandi giocatori, maturi ed esperti del tempo, celebrando le grandi partite e le grandi imprese, accogliendo in egual modo vinti e vincitori, con le critiche che tornerebbero finalmente costruttive e limitate al gioco di uno piuttosto che alla condizione dell’altro.
Torniamo a pensare “fuori dalla scatola”, ricordandoci sempre che di occasioni se ne hanno poche nella vita, e, se non ci si inventa qualcosa, vorrà dire che trarremo infinito godimento nell’ammirare le solite pistolettate da fondo per tanto, tanto tempo.

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