Come Na Li e Shuai Peng cambiarono il tennis in Cina

Il primo scopo dei giocatori della CTA, l'Associazione di Tennis Cinese, deve essere quello di servire e dare lustro al proprio paese. Un obiettivo che gli atleti della grande Cina imparano sin da piccoli, con allenamenti durissimi e limitazioni alla propria indipendenza. Na Li e Shuai Peng sono riuscite a cambiare le cose: ESPN ci racconta come.

I fiori spiegano tutto, direbbe Carlos Rodriguez.

Lo scorso gennaio Carlos si trovava in Cina, a Shenzhen. Seduto sugli spalti, lo sguardo attento e l’immancabile cappellino con visiera, guardava Na Li, l’atleta che ha aiutato a conquistare un Australian Open ed a raggiungere la seconda posizione mondiale, mentre stava conquistando il Shenzhen Open per il secondo anno di fila. Appena tre anni fa, Na Li non era molto conosciuta al di fuori del suo paese; non aveva ancora vinto il Roland Garros 2011, grazie al quale diventò la prima asiatica ad aggiudicarsi una prova del Grande Slam. Solo tre anni fa, un torneo di Shenzhen non esisteva neppure.

Con una popolazione di oltre dieci milioni di abitanti, Shenzhen è una delle tante città cinesi che rispecchia il boom di popolarità del tennis e che sfrutta il personaggio della Li, che ora rappresenta un brand globale da 40 milioni di dollari. Ma la finale del Shenzhen Open 2014 è stata simbolica non solo per la doppietta della cinese: dall’altra parte della rete, infatti, c’era la connazionale Shuai Peng.

Dopo aver vinto il primo set per 6-4, Li perde quattro games di fila nel secondo set, prima di rimontare ed aggiudicarsi il match. Appena le ragazze si stringono le mani, un messaggio tuona dagli altoparlanti. “Signore e signori, questo è un momento speciale” grida la voce dell’annunciatore agli oltre 4.000 spettatori del Longgang Sports Center, il bagliore dei loro flash impazziti verso il campo. “Usiamo le nostre videocamere per catturare questa scena”.

Questa è stata la seconda finale nella storia tra due ragazze cinesi, la prima in assoluto in Cina. Nel giro di pochi anni hanno compiuto passi da gigante: Li è attualmente n. 2 del mondo, Peng n. 1 in doppio; ma questi traguardi, da soli, non spiegano del tutto come mai nel 2014 la Cina ospiti nove eventi WTA, sette in più rispetto al 2011. O perché le città cinesi si stanno dando battaglia per costruire nuovi stadi, grandi e imponenti. Per spiegare la mania del tennis dilagante nel paese, avresti dovuto essere con Rodriguez mentre, tornando dallo stadio, si avvicinava verso l’auto che lo avrebbe condotto all’aereoporto di Shenzhen. L’autista lo stava aspettando appoggiato alla portiera, con in mano un bouquet di fiorie copiose lacrime che gli scendevano sul volto. “Mi disse che quei fiori erano per me perché lo avevo reso così fiero del suo paese”, ha dichiarato Rodriguez, storico allenatore dell’ex n. 1 belga Justine Henin. E ha aggiunto, scrollando la testa: “Con Justine ho visto sette slam, ma nessuno mi ha mai regalato qualcosa di simile”.

Per comprendere appieno che cosa, esattamente, ha portato l’autista al pianto, bisognerebbe essere consapevoli di quanto Na Li e Shuai Peng rappresentano, oggi, per la gente della sterminata Repubblica cinese, e quanto lungo e difficile sia stata la loro strada verso il successo.

E’ il Partito Comunista Cinese che dirige e organizza il tennis, così come tutti gli altri sport. Sorveglia squadre e giocatori di ognuna delle ventitré province del paese, vere e proprie fucine di atleti che costituiscono l’ossatura dell’Associazione di Tennis Cinese (CTA). La CTA controlla quasi ogni aspetto della formazione dei suoi atleti, dalla scelta dei loro coach alla programmazione del loro calendario, alla impostazione del loro stile di gioco; in cambio del suo lavoro, il Partito si intasca il 65% dei guadagni delle loro vittorie e quasi il totale delle sponsorizzazioni. Il primo scopo dei giocatori della CTA, infatti, non deve essere il denaro, ma servire il proprio paese con onore; uomini e donne che sin da piccoli sono abituati a diventare macchine di perfezione per la gloria e il successo della grande Cina.

Na Li è entrata nel ‘sistema’ a cinque anni, quando suo padre – ex giocatore di badmington – la iscrisse in una scuola federale vicino alla loro casa a Wuhan, una grande città di 10 milioni di abitanti situata al centro del paese. Un coach notò subito che la corporatura e le abilità della Li erano perfette per uno sport come il tennis. Ma, come Li imparò subito, i suoi istruttori insegnavano il tennis allo stesso modo in cui generazioni di coach del Partito insegnavano la ginnastica o il balletto – attraverso sessioni rigidissime e sfibranti, destinate al rafforzamento del corpo e dello spirito. “Da quando avevo undici anni i miei allenatori non facevano che gridarmi cose come Stupida! o Sei un maiale?!” scrive Li nella sua autobiografia,Playing Myself; Era così triste che la notte si rannicchiava sola sotto le coperte e iniziava a piangere, in silenzio. “Perché non volevo che i miei allenatori mi vedessero soffrire”. Li però era testarda e, quando poteva faceva a modo suo. Si metteva in disparte e, invece di colpire piatto e monocorde, come le insegnavano i suoi coach, amava sperimentare e prendere rischi nel servizio, nel gioco di volo o testando la portata del suo topspin.

La ragazza crebbe e diventò brava: a 14 anni fu scelta per rappresentare la sua provincia, Hubei, nel più grande evento annuale di tennis nel calendario sportivo cinese, il National Open. A 15 anni, fu chiamata a far parte del team nazionale e gareggiò nei Giochi Nazionali, che si tengono ogni quattro anni a ridosso delle Olimpiadi. Molti dirigenti del Partito iniziarono a inquadrarla in prospettav olimpica e così, nel 1997 – grazie a un contratto con la Nike – fu mandata a studiare al prestigioso John Newcombe Tennis Ranch in Texas. Due anni dopo, volendo misurare il suo potenziale, la CTA spinse Li a diventare professionista: così facendo Li avrebbe sì giocato nel circuito ITF femminile e nella WTA, ma avrebbe dovuto ugualmente continuare a rappresentare la sua provincia e il suo paese nei tornei della CTA. Questa mossa però ebbe un effetto controproducente: più Li era abituata a una disciplina meno rigida e più match vinceva, più diventava restìa a versare i suoi guadagni alla federazione ed essere seguita costantemente nel tour da un rappresentante del Partito. Dopo appena quattro anni, esaurita dalla continua spola tra la carriera da pro e la squadra nazionale, Li decise di smettere. Lasciò il tennis e si iscrisse all’Università senza alcuna intenzione di tornare indietro.

Nel frattempo Peng, che ha circa quattro anni in meno della Li, era riuscita ad evitare la rigidezza della scuola federale Cinese, almeno fino all’età di 12 anni. Crescendo nella città a nordest di Tianjin (metropoli di oltre 14 milioni di abitanti), Peng iniziò ad allenarsi con suo zio, coach di lunga esperienza. Ma appena iniziò a giocare nella squadra di Tianjin, venne presa di mira dalla CTA. Sempre in quel periodo, nel 2002, Peng attirò l’attenzione dell’agente della IMG John Cappo, il quale stava cercando una campionessa che aiutasse a far entrare la sua azienda nel mercato cinese.

“Nessuno aveva una conoscenza di base del tennis, ma tutti pretendevano di sapere cos’era meglio per il futuro della Peng” ha dichiarato Cappo. Mentre egli voleva che la Peng entrasse nel circuito WTA e si adattasse ai differenti stili, i ‘burocrati’ si ostinavano a ribadire a ferma voce il dovere della Peng verso la sua provincia. Cappo era al corrente della sottile ma significativa contraddizione nel sistema tennistico nazionale. Da un lato, i funzionari provinciali non guardavano al di là del prossimo torneo, sperando che un eventuale successo avrebbe fatto guadagnare loro punti con il Partito. Dall’altro lato, i funzionari del Partito, i quali avevano una visione molto più ampia: il loro intento era infatti quello di promuovere l’immagine della Cina all’estero. Secondo Cappo, “la chiave era quella di accontentare le aspirazioni della leadership cinese e allo stesso tempo di consentire alla Peng di allenarsi”.
Finalmente Cappo riuscì a stipulare un patto con la CTA che avrebbe permesso alla Peng di diventare professionista e allenarsi alla IMG Academy in Florida; in cambio, doveva continuare a far parte del team Tianjin. Come la Li, l’allora sedicenne Peng, fuori dalle rigide tenaglie del sistema cinese, fiorì velocemente, passando dalla 359esima posizione nel 2002 alla 37esima nel 2005. Ma anche, come la Li, la Peng non fu mai lasciata libera Partito. Così iniziò a protestare contro le imposizioni della CTA e fu presto seguita dalla Li, ritornata nel circuito nel 2004, dopo due anni di riposo che le avevano portato solamente altra frustrazione. Entrambe le giocatrici subirono durissime critiche da parte dei media ufficiali dello Stato. La Peng fu marchiata come ‘antipatriottica’ e la Li fu minacciata di essere esclusa dalle Olimpiadi di Pechino del 2008.

Ma quelle Olimpiadi rappresentarono un momento cruciale, sia per la Li che per tutto il tennis femminile cinese. Quando Li travolse Venus Williams ai quarti (per poi perdere solo dalla russa Dinara Safina in semifinale), provò a tutti che poteva cavarsela da sola nel palcoscenico mondiale. E dimostrò inoltre che, per eccellere, Li aveva avuto bisogno di qualcosa in più di ciò che il suo paese poteva offrire.
La battaglia di Li e Peng contro il Partito portò alla creazione di una disposizione ufficiale chiamatadanfei, che significa “volare da soli”. Grazie alla danfei, a Peng e a Li (e ad altre due giocatrici veterane)vennero dati status speciali, fu permesso loro di tenere circa il 90% dei loro guadagni, di programmarsi da sole i loro calendari e scegliere i loro coach. Per contro, dovevano allenarsi e spostarsi in giro per il mondo unicamente a proprie spese. La richiesta della CTA era diventata una sola: portare maggiore gloria alla Cina nel mondo.

A sei anni dall’istituzione della danfei, lo straordinario successo di Li e di Peng non solo ha acceso l’orgoglio nazionale, ma ha anche provocato un massiccio aumento degli investimenti sul tennis nelle città più popolose della Cina, creando un mercato stimato circa 4 miliardi di dollari.
Nel 2013 è arrivato il Shenzhen Open; il prossimo 23 settembre partirà il Wuhan Open, nella città natale della n. 2 al mondo, scalzando il Pan Pacific Open che da trent’anni si svolgeva a Tokyo, le cui strutture – dopo il maremoto – necessitavano di un riaggiustamento; Wuhan colse la palla al balzo, promettendo di costruire un modernissimo centro di tennis con 15,000 posti a sedere e un tetto richiudibile, programmato per il prossimo anno. Wuhan sarà la sede di quello che una volta era il Beijing Open, poi rinominato China Open: uno dei quattro eventi Mandatory e combined con un montepremi di 6,6 milioni (gli altri tre sono Indian Wells, Miami e Madrid).

Questo massiccio investimento sul tennis coincide con una emergente classe media urbana e le politiche del nuovo energico nuovo presidente cinese, Xi Jinping, volte a incoraggiare la competizione economica e attirare capitali stranieri. Dopo che Li vinse l’Australian Open, il gennaio scorso, la Nike tappezzò la sua faccia in tutta la Cina con un messaggio di ispirazione in linea con il nuovo zeitgeist: “Osa arrivare più in alto del cielo”.

Ma cosa accadrà quando la Li, 32 anni, e la Peng, 28, si ritireranno? Il vivaio dei talenti cinesi potrà soddisfare la sua domanda di tennis? Questa questione è nel cuore del paradosso tra il nuovo stile capitalista del paese e la sua tradizione comunista. Mentre città enormi come Wuhan e Shenzhen pagano cifre esorbitanti per nuovi stadi di tennis e invitano il mondo a venire a vederli, gli allenatori non stanno producendo abbastanza giocatori di qualità per metterceli dentro. Oltre a Peng e Li, l’unica altra cinese nella top 50 Wta è la 25enne Shuai Zhang, quarantesima. Segue la veterana Jie Zheng, n. 61, e poi, dopo un’ottantina di posizioni, la ventenne Saisai Zheng, n. 145 del ranking.

Nei sei eventi WTA da 125mila dollari Series Events che sono stati lanciati quest’anno per aiutare i tennisti emergenti guadagnare punti, quattro son cinesi (NanChang, Suzhou, Ningbo and Chinese Taipei). Nonostante l’impegno della Cina nell’aiutare le nuove leve, esistono due aspetti che si oppongono alla ‘internazionalizzazione’ del tennis cinese.

Per prima cosa, gli allenatori federali: un coach provinciale che vince, con la sua squadra, al National Open può ricevere più fondi per il suo team, un bonus e anche una promozione. E’ un incentivo sufficiente per scoraggiare i giocatori migliori dal diventare professionista e cercare di imporsi nel tour. Secondo, bisogna tenere in considerazione le dure spese che bisogna accollarsi per competere nel circuito WTA e ATP. Li e Peng potevano permettersi di rifiutare gli aiuti finanziari del Partito perché erano brave abbastanza da vincere e guadagnare. Ma pensiamo a un giocatore cinese dell’ATP come Wu Di, n. 194 del mondo: quest’anno egli ha vinto 35,077 dollari di prize money ma, a causa dell’obbligo di versamento del 65% dei guadagni andati alla federazione, non può permettersi di vivere e spostarsi a proprio carico. E così continua a fare la spola tra l’ATP e il suo team della provincia di Shanghai, in modo da guadagnare gli assegni del partito: un top CTA player può incassare 60.000 dollari per indossare il marchio degli sponsor del team locale o ricevere un bonus con cifre a sei zeri se conquista una medaglia nei National Games. Questi incentivi sono sufficienti per far sì che alcuni giocatori ci pensino due volte prima di inseguire ambizioni dall’esito incerto nel circuito mondiale. Rodrigez, che nel 2010 aprì a Pechino una scuola di tennis per 400 studenti, fu sempre molto attento a non giudicare giocatori o coach che diffidano dal danfei. “E’ una cosa personale. Non possiamo dire loro che sbagliano. Fino che hanno quello che vogliono, non posso criticarli”.

Va da sé che, per ora, gran parte del peso è sulle spalle di Na Li, la quale però è riuscita a gestire la tensione e a rimanere al top del tennis mondiale. Milioni di followers la adorano e seguono ogni sua mossa. Quando vinse l’Australian Open, il maggiore social network cinese si riempì immediatamente di oltre 370,000 post su di lei. Molti la applaudirono per non aver menzionato la Cina nello durante la cerimonia di premiazione. “Li Na non si è adeguata ai cliché come ringraziare il proprio paese o il partito – scrisse un tifoso – Supportiamo Li Na!”. Qualcuno però la critica ancora: il terzo quotidiano più letto del paese,China Youth Daily, la accusò di non aver sorriso abbastanza. Altri si sono letteralmente infuriati quando il governatore della sua provincia, Hubei, le ha dato un assegno di 132,000 dollari, domandandosi perché i soldi dei contribuenti dovevano andare nelle tasche di una giocatrice che ha scelto di essere indipendente.

Per la Peng, le cose sono più tranquille in madrepatria. Ha da tempo placato le tensioni contro il Partito e gioca ancora per il team nazionale, una volta all’anno. “Sì, abbiamo lottato. Ma non è differente che lottare con i tuoi genitori o il tuo migliore amico. Sono ancora riconoscente” ha spiegato Peng lo scorso marzo. “Le cose prima erano più rigide, più difficili; ora hanno capito che nel tennis non c’è un’unica strada, ma tante”.

Ma anche se il suo paese utilizza ancora il tennis per mostrare al mondo quanto si sia spinto lontano come moderna potenza economica, esso si aggancia ancora a principi tradizionali e antiquati. Nella Cina comunista, diventare professionista è ancora un concetto straniero.

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