Mi mancherai, Agnieszka

Agnieszka non è soltanto un nome, un susseguirsi di lettere che identificano una donna dai tratti marcati e sofisticati. Agnieszka è simbolo di una storia, di un’attitudine, di una suprema eleganza scelta sempre, a discapito di tutto.

Una tiepida folata di vento porta in alto una soffice piuma d’avorio. Volteggia in aria delicata, raggiunge il suo apice incrociando i raggi del sole che la illuminano rendendola raggiante, mentre umida è perché bagnata dalla brina autunnale.Quando il vento cessa, con grazia inizia a scendere dal cielo. Ondeggia serena, inesorabilmente si avvicina al rude suolo con il quale non ha alcun punto di contatto. Dopo tredici anni di volteggio, si posa con grazia su un filo d’erba, lo sfiora, gli sussurra qualcosa.“Il mio corpo non è più in grado di sostenere certi ritmi, ringrazio tutti e vi saluto”. Agnieszka Radwanska, nel circuito, è stata la più pura espressione di talento mai apparsa su un campo da tennis. Non un talento comune, non quello che si associa con immediatezza a Martina Navratilova o ad Hana Mandlikova. Aga ha rappresentato l’eccezione straordinaria, il caso unico ed irreplicabile di una donna, fermamente convinta della propria personalità, estranea al tennis ed a questo così fedelmente legata.In tanti l’hanno amata, votandola annualmente come giocatrice preferita dal pubblico, scegliendo i suoi colpi come emblema del genio.Sì, Aga è stata il geniale ragioniere del tennis femminile. Una struttura fisica inadatta, in tempi moderni, a permetterle la permanenza presso gli alti vertici del ranking, rivendicata con orgoglio dimostrando al mondo, che cinicamente la voleva similare alle volgari compagne di giochi, quanto la convinzione nei propri ideali, in lei, fosse più forte della materiale brama di successo.“Voglio restare femminile, mi preoccupo dell’aspetto fisico. La mia corporatura non è adatta per sostenere un’eccessiva massa muscolare. Anche se provassi a guadagnare qualche chilo non ci riuscirei. E poi, sono una ragazza e voglio mantenere la mia femminilità”.Non uno Slam, non la conquista della prima posizione mondiale. In tanti sostengono che Aga non abbia vinto, in carriera, ciò che avrebbe potuto. Per lei, la vittoria, non era un fine, ma soltanto il mezzo attraverso il quale poter continuare ad esprimere il proprio gioco.La si ricorda al Master, mentre solleva il trofeo che, più di tutti, le si addice. Il 1 Novembre del 2015 ha appena assunto il titolo di Maestra, battendo Petra Kvitova nella finale di un torneo che la vide perdere i primi due match del girone per poi librarsi in volo ed inanellare, una dopo l’altra, alcune tra le più abbaglianti dimostrazioni di talento mai viste su un campo da tennis. Spesso riguardo quelle immagini, la smorzata con taglio ad uscire messa a segno contro l’impotente Muguruza, il passante in diagonale con il back di rovescio grazie al quale frena, rendendola muta, la casuale discesa a rete della spagnola. Aga ha inventato un colpo, forse io ho inventato un’espressione. Non dotata di potenza sufficiente per mettere a segno vincenti a profusione, la polacca si distingueva per la naturalezza con la quale impattava meravigliose accelerazioni lente, pizzicando angoli dei quali soltanto una mente brillante può supporre l’esistenza. Dritti e rovesci impattati piegandosi su se stessa, la palla scorre lentamente per poi prendere velocità una volta toccato il terreno di gioco. Con il contributo di Roberta Vinci, a Doha nel 2016, mise in scena la partita dal più alto tasso tecnico della storia. Agnieszka non è soltanto un nome, un susseguirsi di lettere che identificano una donna dai tratti marcati e sofisticati. Agnieszka è simbolo di una storia, di un’attitudine, di una suprema eleganza scelta sempre, a discapito di tutto. All’annuncio del suo nome entra in campo con passi felpati. Con un braccio regge le racchette, con l’altro una borsetta. Saluta con un lieve cenno della mano, il capo si muove senza perdere il proprio portamento con bruschi scatti laterali. Quando il duello inizia, Aga impugna un fioretto appena lucidato, opponendo questo all’intaccata clava delle rivali. Un tennis variopinto illumina gli occhi della platea che da lei è ipnotizzata, la chiamano sottovoce la maga e lei di ciò se ne compiace. Una smorzata dà il via alle danze, cui segue l’immancabile pallonetto vincente. Di là urla e rincorse frenetiche, falcate pesanti lasciano i solchi sul cemento addolorato. Di qua Aga accarezza, celermente si avvicina alla rete che sfiora appena con la volee stoppata. È straordinariamente forte, non c’è nulla che non sia in grado di produrre attraverso la racchetta divenuta parte integrante di lei. La vedi così, splendida e distaccata dal reale, fino a quando poi, un vincente lungolinea cui fa seguito un urlo bestiale, squarcia l’incanto e quel reale lo mostra. Aga ha perso, lo ha fatto lasciando un’emozione nel cuore degli spettatori. La borsetta giace statica sulla poltrona a bordo campo, la infila al braccio sinistro e scende dal palco. Con la consueta, tradizionale eleganza, Aga abbandona le scene. Un comunicato scrive la parola fine di un candido capitolo della storia.

La soffice piuma sussurra ancora al filo d’erba che l’ha accolta.

“È stato un piacere, addio”.

19 comments
  1. Bellissimo articolo complimenti a chi l’ha scritto
    Meglio non poteva descrivere una giocatrice che ha sempre rappresentato il mio ideale di tennista :lei è l’essenza del tennis
    Sono molto dispiaciuta del suo ritiro ma si vedeva che nelle ultime due stagioni solo a sprazzi riusciva ad esprimere il suo tennis
    Chissà quando ci sarà una nuova Aga
    A lei grazie per le emozioni che mi ha dato con il suo tennis e le auguro Buona Nuova Vita

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