Reilly Opelka, il tennista colpevole di essere troppo alto

Lo statunitense Reilly Opelka ha raggiunto i quarti di finale nel Masters 1000 di Cincinnati, ma invece dei suoi progressi si parla solo della sua altezza e del suo tennis noioso.

Lo sport più bello del mondo è finalmente tornato ad allietare le giornate di numerosi appassionati dopo lo stop causato dalla pandemia da Covid-19 e lo ha fatto da New York, nella famosa bolla, dove i tennisti trascorreranno ben tre settimane per disputare prima il Masters 1000 di Cincinnati e poi gli Us Open. Purtroppo il ritorno del circuito Atp ha inevitabilmente comportato anche quello di molte discussioni accese, sui social e non solo, e molte persone hanno ripreso da dove avevano lasciato.

Uno dei tennisti più chiacchierati degli ultimi giorni è il gigante americano Reilly Opelka, capace di spingersi fino ai quarti di finale per la prima volta in carriera in un Masters 1000 dopo aver battuto avversari di un certo calibro come Diego Schwartzman e Matteo Berrettini. Purtroppo però, il 22enne non ha ricevuto il giusto merito o i complimenti per un risultato simile, bensì è stato vittima di molti utenti annoiati dal suo gioco monotono ed ha dato modo di riaprire un dibattito che va avanti ormai da anni in merito ai big servers, o comunque ai giocatori molto alti presenti nel circuito Atp.

 

Fin quando si tratta di un’opinione non c’è nulla da eccepire: il tipo di gioco di un determinato tennista può piacere o meno ed è giusto esprimere il proprio pensiero con educazione e rispetto. Sfortunatamente, sui social è molto più facile vomitare sentenze e sparare a zero, perciò spesso si sfocia in liti o scontri virtuali a muso duro. Nel caso di Opelka, ad esempio, è più che giusto ritenere che il suo gioco si basi principalmente sulla potenza del servizio e che i suoi match non siano caratterizzati da punti con un numero eccessivo di scambi. Tuttavia è altrettanto errato recitare la solita cantilena “vince solo grazie al servizio“, che a lungo ha caratterizzato i giudizi sul suo connazionale John Isner, bravo a migliorarsi e ad evolvere il suo gioco tanto da togliersi molte soddisfazioni, raggiungendo la semifinale a Wimbledon e vincendo il Masters 1000 di Miami.

Opelka è letteralmente l’antitennis. Mi auguro che nei prossimi anni il tennis non sia solamente così” tuona su Instagram un utente. Opelka, molto attivo sui social e non nuovo all’interazione con gli appassionati, inizialmente la prende con filosofia e replica “Sono d’accordo” aggiungendo l’#servebot. In seguito, quando un altro utente rincara la dose scrivendo “Secondo me una partita di tennis dovrebbe essere divertente, invece i tuoi match sono noiosi“, Opelka sentenzia “Allora non guardarli“. QUESTO IL POST SU INSTAGRAM IN QUESTIONE

A questo punto sorgono quindi spontanee molte domande: Per quale motivo giocatori come Opelka, Isner, Karlovic, ecc. non sono apprezzati come gli altri, ma soprattutto, sono davvero il male del tennis?

Trovare una risposta oggettiva non è semplice, ma l’impressione è che l’ingiustificato astio nei confronti di questa minoranza nel circuito Atp nasca probabilmente dall’invidia, dal fatto che questi giocatori siano considerati “privilegiati” poiché possiedono un’arma come il servizio che potenzialmente mette in discesa tutti i loro match dall’inizio, mentre gli altri tennisti devono sudarsi ogni singolo punto senza poter ricorrere a queste presunte “scorciatoie”. Ma se questi giocatori sono davvero favoriti, allora come mai nessuno è ancora riuscito a vincere uno slam? Inoltre, come mai solo pochi di loro sono stabilmente in Top 50, mentre altri – come ad esempio Olivetti o Simon – non riescono ad andare oltre un certo livello?

Il mondo sarebbe un posto migliore se le persone si limitassero ad apprezzare i propri beniamini invece di sputare veleno su altri, ma soprattutto, qualora dovessero muovere una critica – assolutamente ben accetta purché non scada nell’insulto – lo facessero esprimendo puramente un’opinione personale, senza aggiungere a sostegno della loro tesi argomenti parzialmente o per nulla veritieri volti a screditare il duro lavoro e i progressi che si celano dietro quel numeretto del ranking al quale è associato ogni giocatore.

 

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