Flavia e Roberta: la straordinarietà dell’essere normale

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A New York Flavia Pennetta e Roberta Vinci hanno portato il tennis italiano dove mai era arrivato, l’America intera si è emozionata di fronte all’impresa di due ragazze straordinariamente normali.

 

Vederle ridere e scherzare pochi minuti dopo essersi contese un titolo del Grande Slam, sedute sulle rispettive poltroncine, è stato il ritratto più nitido e fedele di Flavia Pennetta e Roberta Vinci.
Come ai tempi dei tornei regionali, come nelle bravate al centro Federale, dove poco più che bambine una giornata così l’avevano sognata forse solo nelle notti più lontane. Il pubblico statunitense si è commosso ed emozionato di fronte ad un’impresa tutta italiana, Flavia e Roberta sono state le prime azzurre ad approdare in finale nello Slam americano, le prime a regalarci un derby nel torneo più importante al mondo.
A trionfare è stata la Pennetta, più abituata dell’amica a sfide di tale prestigio. Gli Us Open li ha corteggiati a lungo, come nelle migliori storie d’amore: sei volte ai quarti e due volte in semifinale, prima del lieto fine più incredibile e naturale.

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Appenderà la racchetta al chiodo a fine stagione, 33 anni compiuti ed una carriera ricca di colpi di coda.

Sarebbe sbagliato scadere nella retorica del descrivere la storia di Flavia Pennetta come irta di ostacoli e sacrifici sconosciuti ai comuni mortali, sarebbe sbagliato perchè così non è.
La forza di Flavia è sempre stata nella normalità di reagire agli imprevisti della vita fino ad arrampicarsi sul tetto d’America. Lo dice lei stessa di essere nata fortunata, baciata da un talento che l’ha portata a fare della sua passione il suo lavoro, nonostante da ragazzina dicessero fosse troppo “leggerina”, nel fisico e nel carattere. E pazienza se ha dovuto lottare contro due operazioni al polso, un infortunio alla spalla e la quasi certezza di dover mollare appena un paio di anni fa, “è parte del gioco” è sempre stato il suo mantra. Forse senza tante cadute non ci sarebbero stati nemmeno i trionfi, soprattutto quelle che l’hanno minata nell’animo e resa più forte come donna.
Il cuore spezzato da un amore finito, logorato dal volto pubblico della vicenda e il dolore, veramente grande, della scomparsa improvvisa di un amico fraterno (Federico Luzzi). Disavventure di una ragazza normale appunto, così come normalmente ha sempre vissuto la sua notorietà, il suo essere ricercata tennista da copertina, quasi ci si ritrovasse per caso sotto i riflettori del suo innato appeal mediatico.

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Roberta i riflettori li ha visti ancora meno.
Personaggio discreto, ha atteso per anni il suo momento, relegata al ruolo di doppista, poco incline alla competizione singola, eppure interprete di un tennis sopraffino ed in via d’estinzione. Si è presa la scena a suon di vittorie, ha sfiorato la top ten e visto da vicino per ben due volte il penultimo atto di uno Slam proprio a New York. Si pensava la sua carriera fosse arrivata ad un punto di non ritorno dopo aver toccato l’apice, l’anagrafe ed un fisico troppo mingherlino sembravano condannarla ad un’ inevitabile flessione. Invece è stata sua l’impresa più grande, il match capolavoro contro Serena Williams. Se Flavia sembra passare per caso sulle copertine patinate, Roberta sembrava una Cenerentola anche sul centrale di Flushing Meadows , mentre metteva fine con naturalezza disarmante al sogno Grande Slam di Serenona.
Esce sconfitta Roberta ma a testa alta dopo aver scritto anche lei un pezzo di storia, e dopo aver riconosciuto con fraterna sportività i meriti dell’amica.
L’abbraccio tra le due a fine partita ha fatto il giro del mondo: la semplicità italiana di fronte alla maestosità americana.
Grazie Flavia e Roberta, perchè con la vostra normalità avete mostrato al mondo intero il volto bello e pulito dell’Italia.

 

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