Negare la parità di prize money sarebbe una sconfitta per il tennis

Dopo le dichiarazioni di Raymond Moore e Novak Djokovic, ecco un piccolo punto della situazione sull'annosa questione della parità di prize money nel tennis Atp e Wta.

“In una vita futura vorrei essere qualcuno nella Wta perché vanno avanti sulle spalle degli uomini, non prendono alcuna decisione e sono fortunate, molto fortunate. Se fossi una giocatrice, mi metterei in ginocchio ogni sera e ringrazierei Dio che Roger Federer e Rafa Nadal sono nati, perché hanno portato avanti questo sport”.

Si chiude con queste discutibili parole di Raymond Moore – ora dimessosi dall’incarica di direttore del torneo di Indian Wells – l’ultimo capitolo dell’infinita questione della parità di prize money tra tennis maschile e femminile. Non di certo un’uscita felice, e inevitabilmente definita “sessista”, che ha scatenato le ire delle finaliste di Indian Wells Serena Williams e Victoria Azarenka: “Non credo che nessuna donna, non solo le tenniste, dovrebbe inginocchiarsi mai ai piedi di un uomo per ringraziarlo. Quanto al tennis credo che, anch’io e mia sorella, abbiamo fatto alzare molto le cifre di questo sport”.

Il n. 1 Atp Novak Djokovic ci ha messo del suo, rielaborando il tono e adeguando il registro rispetto alle parole di Moore, ma il contenuto non cambia: “Io sono per il potere alle donne, dico no alle parole politicamente scorrette di Raymond Moore, ma è giusto che noi uomini guadagniamo di più, perché siamo più seguiti”.

Le parole del serbo ha scatenato diverse polemiche nel mondo del tennis e non solo: l’ex nuotatrice Sharron Davies, che sostiene la parità su più livelli, si è definita “sorpresa” e ha ammesso che si aspettava “di più” da uno come Djokovic. Delusa anche l’ex tennista Martina Navratilova, che ritene che questa polemica sia qualcosa di superato, e che ha liquidato le dichiarazioni di Moore definendole di “vecchio stile”.

In realtà, in questi giorni, è stata ripescata una vecchia discussione già iniziata nel ’73, quando lo US Open fissò lo stesso prize money per maschi e femmine – peraltro decretando una tappa di civiltà, giacché tale passo fu il primo nella storia dello sport.

La ragione principale a sostegno delle tesi di Moore e di Djokovic (e più volte sostenuta anche da molti colleghi, in primis da Gilles Simon) è che sono i Fab Four, e i giocatori ATP di livello, a promuovere il tennis a livello mediatico, e a creare il fenomeno di notorietà, e perciò a vendere più biglietti. Non solo, l’idea è galvanizzata da un’altra ragione: vengono invocati gli altri sport nei quali, è certamente vero, le atlete donne sono pagate molto meno dei maschi.

Basti pensare al calcio: Cristiano Ronaldo guadagna in una settimana quel che Marta Vieira de Silva – calciatrice brasiliana ormai ben nota – incassa in neppure due stagioni. Ma il confronto non regge, perché seppure la WTA è meno seguita dell’ATP, è comunque massicciamente presa in considerazione dal pubblico, e forse non solo per le giocatrici “attractive” – per usare termini di mooriana memoria -, ma anche perché il circuito femminile è in grado di dare altrettanto spettacolo. Magari un diverso tipo di spettacolo, giacché il tennis femminile, per ovvie ragioni, sembra essere un altro sport rispetto al maschile.

Secondo chi scrive infine non si può che dare ragione alla Williams, che ha detto che “esistono parecchie donne nel Tour che sono più divertenti da guardare di parecchi uomini nel tour”.
“Sono molto sorpresa di quanto è accaduto”, ha aggiunto la n. 1 del mondo, “perché Venus e io ed altre ragazze nel tour abbiamo dimostrato ripetutamente lo spettacolo che possiamo produrre.”

In ogni caso, restano al di fuori di queste polemiche i giocatori più indietro in classifica, ovvero quelli che faticano a sostenere il tour per via delle enormi spese. Giusta o sbagliata che sia la polemica sollevata – e destinata a continuare a lungo –, questa appare comunque una battaglia elitaria.

Certo, il tennista croato Ivan Ljubicic, a suo tempo (2012), sosteneva che “chi vince guadagna”, ma è innegabile che l’equilibrio del prize money sia sbilanciato verso coloro che già sono al vertice, e che già possiedono. Pertanto la polemica rischia, ed è già, una guerra tra protagonisti; il che è giusto, perché il tennis deve molto o quasi tutto alle icone già citate e da tutti conosciute. Ma fino a quando la linea di demarcazione tra ciò che spetta a coloro che creano notorietà e gli altri è accettabile e indiscutibile? Moralmente ed eticamente è forse giusto proseguire nell’allineamento di differenza fra i due sessi, anche perché, oltre alla forza mediatica, il lavoro che sta dietro un’atleta è altrettanto dispendioso di quello di un atleta.

Bisogna coscienza che si può assottigliare questa differenza solo a patto di creare un movimento mediatico simile – in tutti gli sport – tra maschi e femmine; oggi però, l’unico sport che sembra avere raggiunto tale obiettivo, che in quasi tutti gli altri rimarrà probabilmente un ideale, è proprio il tennis, dove la pari retribuzione è sinonimo di profonda civiltà e rispetto per tutti gli sportivi.

Pensare di negare al tennis una conquista legittima e così sofferta – sinonimo di indubbio progresso intellettuale e sociale – non costituirebbe una sorta di “regressione“? Per noi sì.

0 comments
    1. Sì. …e chi ci sta’ a vedere x 3 ore un incontro femminile???? giocano 2 su 3…? si prendono i 3/5 di quello che prendono i maschietti…

    2. Quindi non c’è parità neanche in questo caso!! E che sò stronzi gli uomini che fanno il 3 su 5 con partite che possono superare le 5 ore..

  1. ma non diciamo stronzate… Non c’è parità perchè non portano gli stessi spettatori… E per avvicinarli ormai li devono forzare a tutti gli effetti, mettendoli nello stesso programma… Vorrei vedere se tolgono i combined se la gente preferisce djokovic o la williams…

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