I più grandi match della storia: Australian Open 2012, l’epica battaglia tra Djokovic e Nadal

Correva l’ormai lontano 2012, quando due tra i più grandi campioni ad avere mai calcato un campo da tennis scrissero una pagina indelebile e indimenticabile della storia del nostro sport: il riferimento, ovviamente, non può che riguardare la finale degli Australian Open, uno dei più grandi match di sempre, in cui, sul rovente cemento di Melbourne, gli eterni rivali Novak Djokovic e Rafael Nadal diedero vita ad una sfida dalla tensione e dall’intensità mostruosa, portando i propri limiti fisici e mentali ad un livello mai visto prima.

Il tennis, non c’è dubbio, rappresenta, tra tutti gli sport, un esempio assolutamente unico per la combinazione di talento naturale, abilità tecnica, doti fisiche e concentrazione fondamentale per eccellere e distinguersi, in un circuito competitivo, quasi spietato, che richiede una forza di volontà e una costanza al limite della resistenza umana. Fin dal lontano 1877, anno in cui il gioco con la racchetta divenne un vero e proprio sport professionistico sugli immacolati campi verdi di Wimbledon, si sono susseguiti, nel corso dei decenni, innumerevoli campioni, caratterizzati da peculiari stili di gioco o particolari abilità, ma accomunati dalla passione e dalla abnegazione indispensabile per darsi battaglia e, infine, per prevalere. Uno sport, il tennis, che presenta diverse e alternative facce: permette, infatti, di assaporare la gloria, frutto del sudore speso tra i rettangoli di gioco e depositato sulle righe, nello stesso momento in cui, dall’altro lato del campo, costringe lo sconfitto a tormentarsi sulle occasioni sprecate, su uno specifico colpo che, per pochi centimetri, se non millimetri, avrebbe potuto cambiare la sorte dell’incontro, dell’intero torneo, dopo ore e mesi di faticoso e asfissiante allenamento spesi senza sosta in palestra o sullo stesso campo. Sport, insomma, magnifico e crudele, sintesi perfetta della vita di ogni giorno, in cui ognuno è costretto ad assumersi le proprie responsabilità, sia in caso di vittoria che in quello di sconfitta, e a tentare di cogliere ogni piccola occasione che si presenti.

Ma ciò che, più di ogni gesto tecnico, recupero, attacco a rete o mostruosa difesa, rappresenta la vera essenza del tennis e lo rende una competizione tanto spettacolare non possono che essere le rivalità: sono, infatti, proprio i confronti di stili differenti e gli scontri tra le personalità dei grandi campioni a trascinare e coinvolgere il pubblico, gli appassionati e i tifosi, a consacrare ogni giocatore nell’olimpo e ogni epoca della storia. Le rivalità più celebri ed emozionanti hanno scandito ogni decennio tennistico, fino a diventarne simbolo e a rimanere impresse nella memoria collettiva. Il modo migliore, dunque, per celebrare questo meraviglioso sport è proprio ricordare, descrivere ed evocare le sfide più memorabili e simboliche, l’atmosfera e le sensazioni che ciascuno di esse ha provocato nei tifosi.

AUSTRALIAN OPEN 2012, QUANDO DJOKOVIC E NADAL FECERO LA STORIA-Quando si pensa ai grandi match, quelli che hanno lasciato un segno indelebile, sono innumerevoli gli incontri degni di essere scelti, ma uno che senza dubbio spicca ed emerge tra i tanti, per l’importanza, l’impatto nella storia e per la mostruosa e irraggiungibile intensità, non può che essere la finale degli Australian Open 2012, in cui si confrontarono due tra i più forti protagonisti dell’attuale epoca tennistica, Novak Djokovic e Rafael Nadal. In quella che rappresenta la rivalità con il maggior numero di sfide nell’intera Era Open, e una delle più accese e combattute di tutti i tempi, quel match costituisce la sintesi più efficace e la sublimazione delle caratteristiche e delle straordinarie abilità dei due avversari: si confrontarono in campo, quel giorno, due perfette macchine da tennis, dotate di una brutale efficacia da fondo campo e di una forza mentale eccezionale; le micidiali rotazioni del maiorchino, la sua ferrea difesa e la sua determinazione, contro i recuperi, l’elasticità, il ritmo asfissiante e la concentrazione altrettanto efficace di Nole.

Confronto a cui, nel corso della precedente stagione, appassionati e addetti ai lavori si erano ampiamente abituati, in quanto si era verificato in ogni atto conclusivo dei principali tornei, dai Master 1000 fino agli Slam, e che aveva vissuto, proprio a partire dai primi mesi del 2011, una netta e palese inversione di tendenza nei propri equilibri. Fin dai primi anni delle rispettive carriere, infatti, entrambi avevano dimostrato di possedere un potenziale degno di veri e propri fenomeni, ma l’ago della bilancia, sia sotto l’aspetto dei titoli che nei confronti diretti, era sempre stato dalla parte di Rafa, capace di aggiudicarsi la maggior parte dei confronti con il rivale e di conquistare un numero nettamente superiore di trofei. Quel fatidico 2011, però, fu il momento in cui per il serbo, come tutti i tifosi ormai ben sanno, tutto cambiò: il Djokovic inesperto, falloso, spesso in affanno e afflitto da difficoltà a livello fisico e mentale, si trasformò, con una nuova dieta adatta alla sua celiachia e una fiducia in se stesso rinnovata, in un tennista solido, brillante e concentrato, capace di recuperi al limite delle capacità umane e, un istante più tardi, di precise e travolgenti accelerazioni. Una macchina, insomma, assolutamente perfetta. Di fronte alla metamorfosi e all’impressionante evoluzione del proprio rivale, Nadal, già pluricampione Slam e ormai abituato alle lacune del tennis del rivale, si rivelò incapace, nelle sei finali disputate nel 2011, di prendere le necessarie contromisure, di apportare a propria volta nel suo gioco qualche cambiamento per affrontare il nuovo ostacolo. E così i classici schemi, le rotazioni da fondo campo, la perenne grinta di Rafa si sgretolarono in un attimo sotto gli attacchi e i pesanti fondamentali di “Djoker”, che da talentuosa promessa mancata, arresa ormai alla sconfitta, divenne il dominatore del circuito. E, quasi inesorabilmente, il maiorchino dovette arrendersi in ogni occasione e circostanza, dal cemento di Indian Wells, Miami a New York, fino alla terra di  all’erba di Wimbledon.

Nole US Open 2011

I campioni, però, sono tali proprio per quella abilità e quel talento innato di migliorarsi in continuazione, di evolversi anche dopo aver raggiunto un livello apparentemente insuperabile, e il maiorchino ne diede, all’epoca, una prova lampante: nella finale dell’edizione 2012 del Major australiano, la settima consecutiva in cui il ragazzo di Manacor si ritrovava di fronte a Novak in un atto decisivo, si percepì davvero per la prima volta, da parte di Rafa, un reale cambiamento, una qualche modifica e qualche dettaglio che gli permisero di affrontare e tenere testa a Djokovic.

L’inerzia, sia chiaro, era assolutamente dalla parte di quest’ultimo, reduce da due successi consecutivi nei Major, da una stagione mostruosa, con pochi paragoni nella storia, e sempre più in fiducia dopo aver impresso l’anno precedente la svolta decisiva alla propria carriera. Quell’evento, però, lo Slam in cui il serbo è sempre in grado di esprimere il suo miglior livello, rappresentò il primo momento in cui si ebbe la sensazione che l’ingranaggio perfetto del suo tennis stesse cominciando a scricchiolare: nel corso del torneo, Nole si era ritrovato in diverse occasioni in difficoltà, fino al momento più critico, la semifinale contro Andy Murray, in cui era stato costretto ad annullare una pericolosissima palla break nel quinto parziale, prima di avere la meglio. L’iberico, invece, aveva messo in mostra un ottimo livello di gioco, smarrendo nel proprio cammino solo due set, rispettivamente contro Tomas Berdych ai quarti di finale, e contro l’altro eterno rivale, Roger Federer, in finale, senza mai rischiare tuttavia di venire estromesso. L’atto conclusivo dello Slam, in definitiva, si preannunciava, nonostante i favori del pronostico dalla parte di Novak Djokovic, estremamente equilibrato e aperto ad ogni risultato, e tutti gli appassionati pregustavano una battaglia durissima e spettacolare. Non sapevano, però, che quell’incontro sarebbe passato alla storia come uno scontro titanico tra fenomeni, e come la più lunga finale mai disputata sui roventi campi di Melbourne.

LA SFIDA-Fin dai primi momenti, infatti, cominciò ad emergere come entrambi i rivali stessero mettendo in mostra un livello di tennis semplicemente stellare. La maratona disputata appena due giorni prima, massacrante sotto il punto di vista fisico e sfiancante sotto quello mentale, non impedivano certo al campione di Belgrado di realizzare gli usuali recuperi in spaccata inumani e di attaccare con potenti e precise accelerazioni di fondo campo. Nadal, dal canto suo, a differenza degli ultimi precedenti, riusciva a non soccombere alla sudditanza psicologica sviluppata nei confronti di Nole dopo le numerose sconfitte: non solo rimaneva in scia nel punteggio, infatti, ma si rivelò anche in grado di imprimere per primo una svolta nel match, strappando il servizio al rivale. E, nonostante un momentaneo recupero di Djokovic, rientrato nel set sul cinque pari, il maiorchino non perse la concentrazione e conquistò con feroce determinazione il primo parziale, dimostrando tutta la sua volontà di porre fine a quella serie di sconfitte.

Nadal Australian Open 2012

Tuttavia l’illusione che il serbo, certamente non inferiore in quanto a forza mentale e desiderio di vittoria,  potesse lasciare libera al proprio avversario la strada del successo durò ben poco, e si infranse sulla volée vincente con cui mise a segno il primo break del secondo set. Il livello degli scambi, a questo punto, cominciò ad aumentare esponenzialmente: i due protagonisti, infatti, si alternavano in recuperi miracolosi e  vincenti da fondo campo, ma diedero soprattutto una prova incredibile di resistenza fisica e mentale, rincorrendo ogni palla e non mollando mai alcun centimetro in campo. Imprimendo un ritmo sempre più alto e asfissiante, dunque, Nole riuscì lentamente a demolire ancora una volta tutte le certezze conquistate con fatica da Nadal, e, nonostante un ulteriore contro break nel finale della frazione, si portò in parità nel computo dei set. Tutto lo strapotere e il predominio di Djoker cominciò, allora, a riaffiorare e riemergere, e a cacciare nuovamente Rafa nell’abisso degli incubi del 2011: il maiorchino, impotente, assistette alla prova di forza del rivale nel terzo set, e si arrese con il netto punteggio di 6-1.

L’esito della sfida sembrava, in quel momento, inevitabilmente segnato dal solito, inesorabile copione: l’incredibile Djokovic era ormai sul punto di realizzare l’ennesima impresa, ai danni del succube Nadal, incapace di reagire. E il punteggio, d’altronde, tentava in ogni modo di confermare questa sensazione, quando il serbo centrò l’ennesimo break, apparentemente decisivo, e si issò rapidamente sul 4-1. Nonostante l’ottima partenza, le espressioni che dimostravano una estrema fame di rivalsa e di vittoria, la corazza dell’iberico, un tempo invincibile, stava per sgretolarsi ancora. Proprio quello, però, fu il momento in cui una finale certamente apprezzabile per l’ottimo livello di gioco divenne epica, in cui alla tecnica si aggiunse il pathos, grazie ai meriti di Rafa. L’orgoglio, la grinta, la forza di volontà spinsero l’allora dieci volte campione Slam a non cedere, a non rassegnarsi come aveva fatto l’anno precedente, ma a spendere ogni residuo di energia rimasto per rientrare nel match e ribaltare le sorti ormai scritte dell’incontro. E Nadal riuscì, finalmente, a scacciare quegli incubi, e a spedirli, invece, nell’altra metà del campo, in cui Djokovic percepì scivolare via dalle mani una partita ormai vinta: il ragazzo di Belgrado, infatti, non riuscì a sfruttare il break di vantaggio, e non convertì poi tre ulteriori chance per portarsi sul 5-3 e servire per il successo. E così, dopo quattro ore di intensa battaglia, Nadal riuscì nell’impresa di aggiudicarsi un tie-break altrettanto lottato, e di rimandare ogni discorso al quinto, decisivo set.

Ciò che accadde dopo è ormai registrato e impresso nella storia del nostro sport, e può a tutto diritto essere riassunto come la più esemplare descrizione dell’essenza della competizione. Quello che si stava avviando a concludersi come un banale trionfo del più forte divenne, grazie agli sforzi estremi dell’iberico, un incredibile scontro, e proprio Rafa sfruttò, a differenza del rivale, l’onda positiva per strappare un break nell’ultimo parziale, e a portarsi vicino ad un’insperata rimonta. Novak Djokovic, lo spietato dominatore, si ritrovava adesso nella parte che il rivale stava recitando fino a pochi minuti prima, da vincitore ormai certo a ormai sconfitto. Come Nadal era riuscito a sconfiggere i propri fantasmi, però, Nole non si dimostrò inferiore, ma anzi diede una prova tangibile degli impressionanti miglioramenti e dell’evoluzione che aveva vissuto nella precedente stagione: il ragazzino talentuoso, ma avventato, promettente, ma anche deludente, in cui i tifosi e gli addetti ai lavori lo avevano inchiodato era definitivamente scomparso, lasciando il posto alla grinta, alla lucida determinazione e al carattere orgoglioso di un vero e proprio campione. In svantaggio, Novak tirò fuori tutta la propria forza di volontà, e colse immediatamente l’occasione offerta dal rivale, colpevole, sul 4-2 in proprio favore, di avere mancato un semplice rovescio lungolinea che lo avrebbe portato sul 40-15: quell’errore rappresentò probabilmente il momento della svolta. Il serbo, fenomenale nel resistere alla tentazione di arrendersi dopo avere sprecato troppe chance, si portò infine in parità, tenne un delicato turno di servizio, in svantaggio sul 5-4, e agguantò poi un ulteriore break, che gli consentì di porre fine a quella lotta con il servizio. E, quando davvero contava, non tremò, nonostante l’ultima, eccezionale resistenza dell’indomito Rafa, chiudendo il match con un dritto vincente, dopo quasi sei ore, e sdraiandosi al suolo, consapevole di avere fatto la storia.

Nole AO 2012 finale

Nadal, sconfitto certo, ma a testa alta, si avvicinò alla rete con evidente rammarico, se non addirittura disperazione, per essere uscito ancora sconfitto: il tennis, lo avevamo detto, sa rivelarsi davvero crudele. Ma più della vittoria, dei trofei e delle bacheche, che testimoniano certamente la grandezza di un tennista, ciò che quel giorno consacrò i due campioni come fenomeni assoluti fu lo spirito e la caparbietà con cui avevano dato vita ad una pagina indelebile della storia, essenza pura di ciò che la competizione rappresenta.

 

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