Bjorn Borg: “La mia vita, il mio tennis”

Autobiografia di Bjorn Borg, pubblicato in lingua italiana a Milano nel 1981, edizione del Club Italiano dei Lettori S.p.A.

Bjorn Borg, vincitore di sei Roland Garros, cinque Wimbledon, 2 Masters, 1 WCT Finals e 1 Coppa Davis,è considerato uno dei tennisti più grandi di tutti i tempi e allo stesso tempo è una delle personalità più difficili da inquadrare nel mondo del tennis.
Borglamiavitailmiotennis
Nella libreria degli appassionati non può mancare il libro “La mia vita, il mio tennis raccontati a Gene Scott” ovvero l’autobiografia di Borg scritta con l’aiuto di Gene Scott che funge da narratore onnisciente.

In questo libro  troverete raccontata la sua vita in una sorta di “lunghissima” intervista a se stesso, dove non mancano mai commenti e spiegazioni, ove ritenute necessarie, di Gene Scott, tennista americano negli anni 60’,  scomparso il 20 marzo del 2006Bjorn Borg si mette finalmente a nudo davanti ai suoi fan e non solo.

Quando Borg racconta della sua vita, della sua passione per il tennis e della sua carriera, ha solo 24 anni, perciò nell’introduzione Gene Scott tiene a precisare che molti aspetti del suo carattere e dei suoi sentimenti verso il padre, la madre e l’ex moglie Mariana Simionescu sarebbero potuti cambiare milioni di volte nel corso della sua carriera e della sua vita. Sottolinea però, che nonostante la giovane età, Borg era già riuscito a guadagnarsi un posto tra le grandi figure sportive di tutti i tempi.

L’uomo conta quanto la sua impresa eroica. Borg è fatto della “stoffa giusta”. Queste le parole con cui Gene Scott decide di chiudere la sua introduzione. Concetto che può voler dire molto se consideriamo tutto quello che la stampa ha sempre detto su di lui.

Che fosse uno dei più grandi tennisti nessuno l’ha mai messo in dubbio, ma è sempre stato noto a tutti come “uomo di ghiaccio” o “sfinge”, impassibile in campo e mai polemico nei confronti degli avversari, giudici di linea e arbitri.

A questo proposito Anthony Levinson, raccattapalle alla Challenge Cup di Montreal, nel dicembre del 79’, all’età di nove anni, aveva dichiarato che anche se Borg non fosse stato un Top 10, l’avrebbe ugualmente ammirato proprio perché non creava mai alcun problema all’arbitro.

Nelle conferenze stampa Borg era sempre molto conciso nelle risposte. Si limitava a rispondere alle domande, senza mai aggiungere commenti o ragionamenti. Un “iceberg” che non trasmetteva alcuna emozione.

Fu per questo che cominciò ad aleggiare la “leggenda” delle sue trentacinque pulsazioni al minuto.

In realtà, il mito risale a quando, all’età di diciotto anni, gli rilevarono trentotto pulsazioni alla visita medica per il servizio militare.

Questo non corrispondeva a verità assoluta e rappresentò solo un caso isolato anche perché durante le sue giornate Borg rilevava cinquanta pulsazioni la mattina ed arrivava a sessanta nel pomeriggio. Ovviamente durante le partite il ritmo cardiaco si alterava ulteriormente come a tutti i comuni mortali.

Per la prima volta, sfogliando queste pagine, il lettore ha la possibilità di conoscere a pieno il carattere e la personalità di questo campione e finalmente può spiegarsi molti atteggiamenti da lui tenuti dentro e fuori dal campo, che senza la lettura non riuscirebbe facilmente a intuire.

Nel primo capitolo intitolato “ Borg su Borg” è lui stesso a fornire spiegazioni sul perché le sue risposte siano sempre state brevi.

Si è sempre posto una domanda sui giornalisti: “ Se assistono ai miei incontri, perché poi mi chiedono che cosa è successo?”. Secondo il suo pensiero se un giornalista assisteva ai suoi incontri, era in grado di giungere da sé al perché aveva perso oppure vinto.

Aveva addirittura un vantaggio in più rispetto a lui: durante un match , se era in grado di fare bene il suo lavoro, sapeva già quanti doppi falli aveva commesso, quali erano stati i suoi punti di forza e quali le sue debolezze. Lui invece avrebbe dovuto aspettare la fine dell’incontro prima di poter consultare i dati statistici.

Per questo motivo Borg definiva le conferenze stampa del dopopartita come “folli invenzioni”. In più, la maggior parte delle volte, riteneva insulse le domande poste dai giornalisti inviati . Le domande più irritanti sono sempre state quelle riguardo l’età o l’incordatura della sua racchetta, proprio perché erano informazioni facilmente rintracciabili da chiunque, come poteva non saperle un giornalista professionista?

Secondo Gene Scott i giornalisti dell’epoca avevano sempre qualcosa da ridire: davano contro a giocatori come John McEnroe, Jimmy Connors e Ilie Nastase per il loro essere scontrosi e deridevano Borg per il suo essere distaccato e impassibile davanti alle loro critiche.

Ciò che secondo Scott era importante era la prestazione in campo, era quello su cui i giornalisti dovevano soffermarsi. Ed in campo su Borg non si poteva certo dire qualcosa. Era formidabile, serio, educato, non metteva mai in discussione l’arbitro e non stuzzicava l’avversario per farlo innervosire.

Ogni direttore di gara era felice di essere presente ad una sua partita, ma esiste un “però”. Il suo essere educato in campo, il più delle volte lo danneggiava e lo portava a perdere fino a una mezza dozzina di punti per partita, anche perché ancora non esisteva quello che è stato da molti definito una vera e propria salvezza per il tennis, cioè l’occhio di falco .

Riporto integralmente le parole di Gene Scott a riguardo : “ Se McEnroe si arrabbia per un punto contestabile sulla linea di fondo e Borg sta zitto, la tendenza è di dare a McEnroe il beneficio del dubbio, per placare le sue ire. Così finisce che il giudice favorisce il protestatario scorbutico a spese del giocatore più mite”.

Borg spiegò come mai in campo riuscisse ad essere così poco emotivo dicendo che le sue “arrabbiature” le teneva per sé. Raccontò che quando aveva dodici anni, continuava a buttare per terra la racchetta e barava sempre ed è lui stesso a definire questo suo atteggiamento come un “caso clinico”. Tirava palle in tribuna e i suoi genitori decisero di non assistere più ai suoi incontri perché si vergognavano. Fu sospeso per sei mesi dall’associazione di tennis svedese e per lui essere designato come “pecora nera” del tennis nel suo paese divenne un trauma. Decise così di fare un lavoro su se stesso e di tenere per sé gli impulsi che scaturivano quando in campo uno dei suoi avversari barava.

senza titolo2 Una delle fotografie preferite da Borg che lo ritrae con Mariana. Quest’ultima odiava la barba e Borg spiega che è per questo motivo che il pubblico lo vedeva metà del tempo con la barba e metà senza. Era troppo complicato per lui radersi abitualmente.

È molto intenso il passaggio del libro in cui Borg parla dell’ex moglie Mariana Simionescu, da cui divorziò appena dopo tre anni di matrimonio.

Si deduce che il loro fosse un amore profondo e basato su una forte stima reciproca. Interessante sapere che Mariana fosse  piuttosto superstiziosa. Ogni volta che andavano negli Stati Uniti, Mariana ordinava un letto in più per sé, in modo tale che il suo uomo potesse dormire tranquillamente prima dei campionati, ma al Masters del 1980 decise di non farlo più e di dormire direttamente sul divano al Drake Hotel. Il divano era scomodissimo e non riuscì a dormire per una settimana intera, ma Borg riuscì a vincere. Portò fortuna.

senza titolo3 Con Lennart Bergelin in due momenti importanti della sua carriera

Altra figura fondamentale nella vita di Borg fu Lennart Bergelin, soprannominato Laban, che in svedese significa scimmia o clown, con il quale condivise un’amicizia allegra e scherzosa.

Curioso scoprire dalle parole di Borg che Lennart si faceva passare tutte le telefonate di amici e giornalisti, per evitare che Borg venisse disturbato. Peccato che il telefono squillasse in continuazione e che Lennart non riuscisse più a distinguere la suoneria del telefono in camera da quella proveniente dal televisore.

Inoltre, Gene Scott ci dice che Lennart sorvegliava Borg come un orso sorveglia il suo cucciolo e queste affermazioni ci portano a pensare che si trattasse di un legame d’amicizia sincero e colmo di affetto reciproco.

Borgpiccolo Borg da piccolo

Il secondo capitolo Borg lo riserva alla sua vita, spiega di come sia nata la sua passione per il tennis e della sua scelta di abbandonare l’hockey sul ghiaccio, suo primo amore, per dedicarsi completamente a questo sport, per il quale decise addirittura di abbandonare gli studi.

Figlio unico, nacque a Sodertalje, a soli trenta minuti da Stoccolma, il 6 giugno del 1956 , l’anniversario dell’adozione della bandiera in Svezia.

La sua prima passione sportiva fu l’hockey su ghiaccio, ma ben presto capì che il suo vero grande amore era un altro. Suo padre, Rune, era uno dei più forti giocatori di tennis da tavolo e nel 1965 vinse il campionato cittadino e come primo premio una racchetta da tennis. La regalò a Bjorn. Il suo primo avversario fu il muro, avversario più temibile per un giocatore di tennis proprio perché è in grado di rimetterti in gioco qualsiasi palla. Immaginava partite tra Stati Uniti e Svezia e l’idea era quella che se riusciva a ribattere la palla per dieci volte consecutive conquistava un punto a suo favore.

senza titolo4 Borg è quello in ginocchio, secondo da sinistra. Borg rinunciò all’hockey su ghiaccio a quattordici anni.

I suoi genitori non gli dissero mai quello che doveva o non doveva fare e Borg ammise che questo fu un bene perché se l’avessero fatto, molto presto il tennis lo avrebbe annoiato.

A soli 10 anni conobbe Percy Rosberg, il miglior allenatore di Svezia e chiese di poterlo allenare al Salk Club di Stoccolma, perciò, per i 5 anni successivi, Borg tutti i giorni saliva sul treno diretto a Stoccolma finita la scuola per poi tornare la sera insieme ai suoi genitori che andavano a prenderlo.

senza titolo5 Con questa foto Borg ha voluto dirci nel libro che la sua passione per il ping pong è sempre stata visibile nel suo stile tennistico

Inizialmente tutti i suoi colpi erano eseguiti a due mani, per il semplice motivo che usava una racchetta troppo pesante. Tutti gli consigliavano di cambiare. Cominciò così a colpire il dritto a una mano, ma tutti pretendevano che cambiasse anche il rovescio.

Borg diceva loro che avrebbe sicuramente cambiato anche quello, ma dentro di sé sapeva che non l’avrebbe mai fatto.

A quattordici anni venne selezionato per rappresentare la Svezia a un torneo juniores a Berlino, ma la scuola rappresentava l’unico ostacolo.

I compagni lo soprannominavano “orsacchiotto” e gli insegnanti “orso grigio”.

Nonostante gli ostacoli e le critiche di insegnanti che asserivano che non fosse ammissibile che un ragazzo interrompesse gli studi a quindici anni, nel marzo del 1972 Borg riuscì a partire in tempo per il Gran Premio di Madrid.

Qui ottenne la miglior vittoria della sua vita, quella più significativa per lui e per la sua carriera, battendo Jan Erik Lundquist in due set per 6-3, 6-2. Grazie a quella vittoria venne selezionato per la squadra di Coppa Davis che avrebbe incontrato la Nuova Zelanda a maggio. Questo segnò il decollo della sua carriera.

Doveroso menzionare anche il terzo capitolo interamente dedicato ai suoi maggiori avversari, primo fra tutti il grande John McEnroe. Sono proprio gli avversari a spiegare al lettore quali fossero secondo loro i punti deboli e quelli di forza di Bjorn Borg. A sua volta Borg spiega le particolarità del gioco di ognuno.

Sfogliando le pagine si capirà anche l’importanza che il torneo di Wimbledon ha sempre avuto per Borg. Lui stesso ha dichiarato che è sempre stato una sorta di celebrazione, ha sempre ammirato gli inglesi e la loro precisione. Vinse cinque volte consecutive a Wimbledon dal 1976 al 1981, due anni prima di ritirarsi.

Borggg Borg alla sua prima vittoria a New York, ai Masters 1980, al Madison Square Garden. Vittoria che Borg definisce a lui molto cara

Dall’inizio alla fine del libro si viene pian piano a delineare la personalità di un campione e di un uomo che ha fatto della sua vita il tennis in quanto sport, non lasciando mai spazio a polemiche, non perché privo di personalità e carattere, ma semplicemente per dare al tennis ciò che appartiene al tennis e allo sport: lealtà e serietà non solo nei confronti degli avversari, ma di tutti coloro che scendevano in campo per dare vita a quello che rimane ancora oggi uno degli sport più misteriosi da capire e mettere in pratica. Non per particolari richieste agonistiche, ma per la linea sottile che separa intelletto e corpo e che può essere elemento decisivo nel fare di un comune mortale, un campione di tennis.

Il libro è stato pubblicato nel 1981 ed è l’unica traduzione italiana autorizzata di Tullio Dobner dall’originale inglese. Club Italiano dei Lettori S.p.A su licenza di Sperling & Kupfer Editori. Foto e contenuti provengono da esso.

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