Benoît Paire: una questione di stile

Può perdere contro tutti così come può mettere in difficoltà tutti. Può giocare un intero game solo con le smorzate, e vincerlo, come può disfare al suolo un intero set di racchette, o accanirsi contro la rete del campo. Oggi parliamo di Benoît Paire

Di Gianmaria Sisca

Di cosa ha bisogno il tennis? Ma è ovvio: di Benoît Paire. Sovente si lamenta una generale monotonia, nonché una certa piattezza – nel tennis ma forse in molti altri sport. Il tennis subisce una pericolosa e affascinante polarità: la fisicità. Da quando – e non è necessario ripeterlo – i campi sono diventati più lenti, le racchette più performanti, i puristi del serve & volley si lamentano: sempre meno gesti bianchi, sempre più maratone.

Ma sono loro esagerati? Sono loro, gli unici, ad esser gelosi conservatori impauriti dal nuovo che avanza? Ogni estremismo nasconde comunque una verità spesso condivisibile, magari non in toto. Ebbene, in questo mondo sportivo di cyborg dall’ineffabile efficienza, esistono – anzi, persistono – mosche bianche. Non stiamo parlando del rovescio ad una mano – che pure sta scomparendo – e neppure dello slice o di altri residui arcani.

Questa volta parliamo, semplicemente, di atleti come il francese Benoît Paire. Nato ad Avignone nel 1989, Paire è un ottimo esempio di tela d’autore incompiuta. Talento cristallino, rovescio a due mani devastante e naturale come l’acqua di sorgente, tocco vellutato nelle palle corte e nel gioco di volo, ottimo servizio. Il dritto? Beh, è chiaro a tutti che questo è il suo punto debole: insicuro e altalenante, alla mercé dell’umore del giocatore transalpino.

Benoit-Paire

Forse non tutti sanno, tuttavia, che Paire è un mancino: “Sono mancino, scrivo e faccio tutto il resto con la mano sinistra, tranne il tennis.A 6 anni mi sono rotto il polso, e non avrei potuto giocare per quattro mesi. Così ho provato con la destra, ho visto che funzionava e ho continuato. Penso si veda quando gioco il rovescio, è il mio colpo migliore perché con la mano sinistra posso fare quello che voglio. È come si giocassi due diritti, ma uno dei quali a due mani”.

Interessante, no? E basta rivedere i suoi highlights, oppure un suo match, per intendere e toccar con mano quanto ho detto. Ebbene, cosa si chiede a questo personaggio graziato dalla natura? Risultati! Top ten, tornei, ecc. Questo è giusto, ma entro un certo limite. Quando scende in campo Benoît Paire, anche il più annoiato degli spettatori si agita e si fomenta. Pensate che Gilles Simon, uno che fa impazzire tutti, con Paire rischia di impazzire.

Paire non sempre – è naturalmente un eufemismo – segue una logica tattica, o, meglio, segue una logica tutta sua. Può perdere contro tutti, può mettere in difficoltà tutti. Può giocare un intero game solo con le smorzate – e vincerlo –, come può disfare al suolo un intero set di racchette, o accanirsi contro la rete del campo. Può sfoderare un vincente col dritto in back ad una prima di Raonic, tweener vincente a Djokovic, demi volé metafisiche… e può fare e disfare tante altre cose. Insomma, è grazie a personalità come la sua che il tennis ritrova la sua componente ludica, divertente, e imprevedibile.

E’ grazie a lui, anche, che ci sentiamo più umani. Ogni volta che la pallina giunge nel suo campo, e giunge nel lato del dritto, è sempre un punto di domanda … che farà? Un vincente, una palla corta, un back, oppure vedremo la pallina spegnersi timidamente ai piedi della rete? Insomma, Paire sembra proprio un umano, uno di noi alle prese con un mondo agonista e selettivo. Quando assisto ad una sua partita, non posso che essere felice; e soprattutto non posso che, osservando il suo gioco, intravvedere una metafora della vita. Sì, non avete letto male. Questo mondo, per chi vuole arrivare, è dominato dal rigore, dalla disciplina e dall’ortodossia.

Benoit Paire of France reacts after winning a point against Japan's Kei Nishikori during their men's singles semifinal match at the Japan Open tennis championships in Tokyo

L’atteggiamento è giusto: lo spirito giusto è quello di Djokovic che, fin dalle più tenere interviste giovanili, rispondeva di “voler diventare il numero uno” con una flemma che non aveva nulla a che fare con la baldanza giovanile. I risultati premiano questo spirito, ma è davvero quello che noi, fruitori del tennis e della vita, chiediamo a quelle palline gialle? Non si vive di solo stile e di spettacolo, è vero, ma non è neppure giusto chiedere a Paire di incarnare l’ortodossia e la disciplina. Perché il suo approccio e il suo gioco, direi fisiologicamente, rifiutano e rifiuteranno qualsiasi forma di indottrinamento mentale.

Non credo sia facile a Paire chiedere la stessa forza mentale e la stessa costanza che si chiederebbe ad un altro giocatore meno dotato e per conseguenza più adatto alla costanza. Probabilmente, lo si snaturerebbe, e senza arrivare ai risultati sperati. Perché Paire si trova nella sua classifica – top 20 o top 100 che sia – per una miracolosa combinazione di sensazioni, equilibri precari, che nulla hanno a che vedere col suo approccio mentale; piuttosto col grado di fiducia con cui egli scende in campo. Certo, si può lavorare, cesellare, smussare, ma non cambiare il nocciolo che compone un tennista e, in prima istanza, un uomo.

Il lavoro di miglioramento, nel caso di tennisti come Paire, ha un preciso dominio, e quel dominio è delimitato da una linea x, che coincide con il grado massimo di snaturamento che il suo gioco può subire. Oltre quel segno, agire tentando di stravolgere un giocatore, è tempo perso. Sia per gli eventuali risultati, sia per lo spettacolo. E forse, in questo panorama che è sì un po’ piatto, dobbiamo anche badare allo spettacolo; insomma, agli esteti della racchetta – ormai ben pochi. Se in un’opera d’arte sentiamo l’artista familiare a noi laddove egli cala di magnificenza e perfezione, anche in Paire vediamo tutto questo.

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Un suo dritto vincente, come un vincente della Radwanska, ha molto più valore di un vincente di un altro atleta. Ciò aiuta anche noi mortali a notare, per un attimo, quanto talento abbia un Roger Federer – e non solo lui – nel far sembrare tutto così facile. E capiamo anche quanto difficile sia il tennis ad alti livelli! Insomma, come scriveva “l’immoralista” di Gide – e cito a memoria – “amo quelle opere d’arte che mi aiutano a rileggere la realtà con occhi diversi, a notare qualcosa che prima non avevo notato”, anche noi possiamo goderci le croci e le delizie di Paire per poi ri-apprezzare anche il resto.

Il mio ironico e onesto appello, è un accesso di simpatia verso coloro che rompono gli schemi e che, nonostante tutto, rimangono sé stessi, senza magari arrivare ad uno scopo preciso. D’altra parte, colui che è incompiuto, ci lascia fantasticare nella sua emorragia di incompiutezza. Solo lui ha la licenza di fare questo! E se nella vita poche cose hanno un fine, è bello e veridico apprezzare, senza troppo pensare ai risultati, quel che c’è di irrazionale e libero nella natura, e, perciò anche nel tennis. Ovvero, il nostro Benoît Paire.

0 comments
  1. Giocatore con capacità assurde, ma con lo stesso problema di fognini…il cervello non è compatibile con il suo corpo!!! XD

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