Gianluigi Quinzi, in cerca di una guida per mantenere la ‘Promessa’

Gianluigi Quinzi è considerato da tutti la futura stella italiana del firmamento del tennis. Saprà rispettare le promesse?

Era il 7 luglio dello scorso anno. Wimbledon. Un ragazzino non ancora maggiorenne, sull’erba del torneo di tennis più prestigioso del mondo, liquidava in due set (7-5 7-6) il cinese Chung nella finale dei Championships juniores. Si chiamava Gianluigi Quinzi e veniva da un piccolo paese delle Marche che conta 16 mila anime, Porto San Giorgio. Figlio di Carlotta, già nazionale di sci e pallamano, e Luca, presidente del tennis club locale. L’ultima speranza (in termini cronologici) del tennis italiano raggiungeva così la ribalta della cronaca nazionale. Addirittura l’emittente di Murdoch, Sky sport, dovette cambiare il palinsesto delle dirette del torneo pur di accontentare le numerose richieste dei telespettatori di vedere giocare e godersi il campioncino marchigiano.

Un ragazzone alto 1 metro e 90 con un gran talento, di cui evidentemente già si conoscevano le doti nel circuito degli addetti ai lavori. E in tanti già decantavano le sue ottime qualità tanto da predire per lui una carriera da campione. Non è un caso infatti se il guru del tennis mondiale Nick Bollettieri lo notò quando aveva solo 8 anni e gli offrì una borsa di studio per allenarsi nella sua accademia in Florida.

quinzibges Un giovanissimo Gianluigi Quinzi durante un allenamento all’Accademia di Bollettieri

Finalmente, dopo molti anni, l’Italia aveva prodotto un tennista che in futuro sarebbe stato in grado di giocarsela con i migliori al mondo. O almeno così si diceva allora. Certo la storia recente del tennis italiano inviterebbe alla prudenza ma da buoni italiani continuiamo nonostante tutto a entusiasmarci dopo un exploit e allo stesso tempo a deprimerci dopo una débacle. Per esempio, anche un altro italiano vinse il torneo juniores di Wimbledon, Diego Nargiso, grande interprete di un tennis che ormai non esiste più, fatto di istinto e votato all’attacco. Ma il suo talento non gli ha permesso in seguito di diventare un top ten. E’ anche vero che se il nostro Diego si era imposto nel lontano 1987 all’età di 17 anni nella competizione riservata agli under 18, due anni prima un certo Boris Becker non ancora maggiorenne, aveva vinto lo Slam. Come puntualizzò il mitico Giampiero Galeazzi smorzando l’entusiasmo di Adriano Panatta che lo stava informando della vittoria di Nargiso: “Adrià, a 17 anni Becker ha vinto er torneo dei grandi”.
Ma Tornando al nostro GQ, siamo quasi a un anno di distanza dal suo memorabile successo. Che ne è stato di lui?

Il 2013 è stato senza dubbio l’anno che ha portato le maggiori soddisfazioni a Gianluigi e al suo staff. Ha ottenuto tra gli altri la prima vittoria in carriera in un torneo professionistico, al torneo Future a Casablanca, e la prima semifinale in un Challenger, a Guayaquill, confrontandosi anche con alcuni italiani più blasonati come Cipolla e Volandri. Risultati che gli hanno permesso di salire al vertice della classifica Itf. La vittoria a Londra avrebbe potuto montargli troppo la testa ma GQ ha dimostrato al contrario di essere un ragazzo con la testa sulle spalle ed è rimasto con i piedi per terra continuando a lavorare sodo.

0 GQ festeggia la vittoria di Wimbledon junior 2013 nella sua Porto San Giorgio.

Detto questo però, nel 2014 sono arrivate anche le prime delusioni. L’exploit dell’anno precedente aveva giustamente convinto il suo team a puntare più in alto. L’inevitabile ricerca del salto di qualità lo ha portato a partecipare a numerosi Challenger e qualificazioni per tornei Atp. Sono così arrivate le sconfitte al primo turno a Bergamo, Kyoto e Yuxi. Un brusco risveglio, insomma, che ha convinto Quinzi e il suo coach argentino Eduardo Medica a a cambiare rotta tornando a giocare i tornei Futures e a ritirare anche la richiesta di wildcard per il Master 1000 di Miami. E ad aprile, come se non bastasse, anche la doccia gelata della rottura con Medica, che lo seguiva da 4 anni.

Un duro colpo che avrebbe potuto destabilizzare la crescita e le convinzioni del campioncino azzurro ma che sorprendentemente ha avuto l’effetto contrario. Quinzi ha ricominciato ad allenarsi al centro tecnico di Tirrenia sotto la supervisione della Fit e ha macinato Futures. Nel giro di due settimane ha conquistato il titolo a Galati in Romania e a Safi in Marocco. Successi che lo hanno portato al suo best ranking in carriera, ora è infatti il numero 302 al mondo.

Il momento, dunque, è delicato. Gli ultimi risultati hanno dimostrato che la stoffa del campione non l’ha perduta ma non può certo crescere solo con il supporto della Federazione. Per raggiungere certi livelli è necessario che venga affiancato da un allenatore esperto. Ed è proprio questo il primo nodo da sciogliere per il suo futuro. Il talento da solo non può bastare.

A livello tecnico il nostro GQ è pressoché completo ma deve lavorare su alcune lacune e accorgimenti tattici. Il rovescio è di gran lunga il suo colpo migliore ma fa male anche col diritto.  Sul servizio ha ampi margini di miglioramento e probabilmente è proprio questo il fondamentale su cui concentrarsi nell’immediato, perché da il là allo scambio e da questo deriva la tattica di gioco. Con la sua potenza Quinzi ha la notevole capacità di capovolgere l’andamento dello scambio grazie a colpi difensivi che si tramutano in attacchi. La sua dote principale è l’aggressività, riesce con gran disinvoltura a mettere alle corde gli avversari non facendoli respirare.

C’è da lavorare anche sulla tenuta psicologica in campo (caratteristica, ahinoi, tutta italiana) perché ancora non è in grado di gestire al meglio i momenti di maggiore pressione. Certo non dimostra la sregolatezza di Fabio Fognini ma ha comunque bisogno di pensare molto in campo. Spesso si fa prendere dalla frenesia, si innervosisce e lascia il fianco agli avversari. La forza mentale comunque non gli manca così come la determinazione e la voglia di vincere.

La scelta del suo prossimo coach per tutte queste ragioni è più che mai fondamentale. Il rischio di bruciare l’ennesima promessa italiana è sempre in agguato. Per fortuna i suoi genitori sono riusciti finora a proteggerlo e a indirizzarlo nella strada giusta. L’obiettivo di quest’anno è di entrare almeno nei primi 250. Ce la può fare.

In un’intervista a TennisBest Diego Nargiso consigliò a GQ di “non farsi attirare dalle sirene, ma di andare per gradi, step by step”. Perché il talento va coltivato anche con lavoro e sacrificio, altrimenti è fine a se stesso. Il tennis, oltre che tecnica, è anche tattica e psicologia. E di enfant prodige ne nascono solo due o tre nell’arco di un secolo.

Brevi-img17880_678 GQ con l’ex coach Eduardo Medica.

Enrico De Grazia

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