Giovani ma terribili: Alexander Zverev

Con un gioco non bellissimo, potente e costruito per massimizzare il risultato a scapito dell'estetica Alexander Zverev è oggi una delle più grandi promesse del tennis mondiale.

BIOGRAFIA – Alexander “Sasha” Zverev jr. nasce il 20 aprile 1997 ad Amburgo, gioiello vero in una famiglia tutta di tennisti (non eccelsi), emigrati in Germania dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica: mamma Irina, papà Alexander Sr. (membro della rappresentativa Davis URSS) e il fratello maggiore Michail – al secolo “Misha”- (ex numero 57 del mondo). Vive una brillante carriera già dagli Juniores, condita dal successo agli Australian Open di categoria nel 2014 come prima testa di serie. Nello stesso anno entra fra i professionisti e i risultati non si fanno aspettare. Vince i primi Challenger “in casa”: il primo a Braunschweig (terra rossa) nell’anno del debutto e il secondo a Heilbronn (cemento) l’anno successivo. Nel mezzo comincia a prendersi numerosi scalpi fra i giocatori top-100.

2016: IL BOOM – Per la consacrazione sui palcoscenici più importanti bisogna aspettare (solo) il 2016, anno in cui sale alla ribalta nel circuito e entra a pieno titolo fra i giovani terribili del panorama tennistico mondiale. Il 2016 è un anno chiave per il giovane Alexander: arrivano i primi risultati grazie ad una buona costanza di rendimento per un teenager. Infatti non solo riesce a farsi largo in buona parte dei tornei cui prende parte, e in tutte(!) le superfici, ma si porta a casa una serie importanti risultati fra cui due finali ATP e una vittoria a San Pietroburgo (ATP 250) e una serie di vittorie contro giocatori assai quotati nel circuito, fra i cui i vincitori slam Cilic, Wawrinka e un certo Federer (per altro sul secondo giardino di casa di Halle). La stagione non è però tutta rosa e fiori: dopo Wimbledon (terzo turno), l’estate americana è decisamente sotto tono (due primi turni a Toronto e a Cincinnati e un secondo turno agli US Open). Nel complesso però Zverev raggiunge una buona percentuale di vittorie a fine anno(intorno al 65%), e diventa il più giovane teenager ad entrare in top-20 dall’ingresso di un certo Novak Djokovic una decade fa. Un aspetto importante da sottilineare, e sembrerà un controsenso (ma non lo è), è come arrivano alcune sconfitte. Nel corso della stagione una piccola serie di sconfitte arriva per limiti caratteriali che tuttavia appaiono fisiologici e che, rispetto ai coetanei, sembrano legati soltanto alla giovane età. L’importante è che questi limiti siano superabili e che non siano l’altra faccia della medaglia del temperamento forte, deciso e affamato dimostrato in molte altre occasioni. Basti pensare alla sconfitta con Nadal ad Indian Wells, arrivata dopo aver sprecato un match point (con una terribile voleè di dritto), e a un altro paio di sconfitte arrivate in modo simile da situazioni di chiaro vantaggio (primo set + break nel secondo) di cui una contro Ferrer a Pechino. Che venga il “braccino” a un ragazzo di 19 anni nei momenti chiave in tornei importanti, e soprattutto contro vecchi volponi del circuito, ci può stare. Ci stanno molto meno le (tristi) scenette cui ci hanno abituato alcuni suoi coetanei, già incoronati a futuri numeri 1 (vedi alla voce Kyrgios), nei quali il limite caratteriale sembra più patologico e strutturale e emergere anche fuori dal rettangolo di gioco.

TENNISTA MODERNO – Il suo gioco parte da una forte battuta tirata dall’alto dei suoi 192 centimetri e prosegue con dritt(on)i e rovesci(oni) veramente lunghi (la palla non cade quasi mai nella prima metà campo), potenti e tirati benissimo da ogni parte della linea di fondo, che portano a casa tantissimi vincenti. Risulta (purtroppo) un gioco poco poetico, con rare soluzioni di tocco e un po’ di imbarazzo a rete, ma comunque votato all’attacco, che nel complesso disegna quindi uno stile pienamente coerente con lo stile moderno: non bello, potente e costruito per massimizzare il risultato a scapito dell’estetica.

Di Aureliano Fiorini

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