“Nella mia carriera mi hanno aiutato molto poco”: parola di Boluda, che annuncia il suo ritiro.

Intervista al tennista di Alicante che smette a soli 27 anni e apre una nuova tappa come allenatore di Núria Parrizas. 

Carlos Boluda annuncia il suo ritiro: “È una liberazione”.

Dicono che la pensione sia il gioco più difficile da giocare per un tennista professionista.
Tuttavia, parlare con Carlos Boluda dà la sensazione che questa partita sia stata una vittoria sicura, quasi una salvezza.

Lo spagnolo ha deciso di dire basta a soli 27 anni, dopo un decennio passato a inseguire un sogno, cercando una promozione in classifica che trasformasse in realtà il sogno coltivato sin da bambino.

Il bambino, nel mentre, è diventato adulto e ha scoperto un mondo molto diverso da quello che sognava, un percorso pieno di trappole dove non tutti erano lì ad aiutarlo.
Il destino, nonostante tutto, ha avuto in serbo per lui una nuova avventura.
Nel 2021 non lo vedremo in campo, ma lo vedremo in panchina, per la prima volta nelle vesti di allenatore al fianco di Núria Parrizas, che è anche la sua compagna.
Un cambio di rotta radicale, ma sempre legato a doppio filo col tennis.

Carlos ha rilasciato una lunga intervista a Punto de Break, dove ha spiegato tutto il suo mondo.

Possiamo dire che sei un ex giocatore?

Sì, puoi dirlo (ride). È ufficiale, non credo che tornerò.

Non ti dai nemmeno un’altra possibilità?

No, perché se tornassi, dovrebbe essere tra pochi mesi e non credo che potrà accadere.
Mi piace molto il tennis, l’amore per questo sport non è cambiato, ma non voglio tornare di nuovo ai Futures.

Quando hai preso la decisione?

Un mese e mezzo fa.
Mi trascino con questi dubbi da molto tempo, ho passato un periodo difficile, al punto da non riconoscermi.
Fare questo passo è stata una liberazione.
La cosa buona è che dopo ho cambiato il mood molto velocemente.

Nel 2021 ti vedremo allenare Núria, come sta prendendo il cambiamento?

È sempre stata molto sola nel circuito, quindi ho deciso di aiutarla.
Se uno di noi doveva aiutare qualcuno, volevo essere io ad aiutare, inoltre si fida molto di me.
Mi è sempre piaciuto aiutare le persone, ma prima non potevo perché volevo continuare a giocare; ora posso, quindi non c’è tempo da perdere, tanto meno con la nostra età.

Dici che ti piace aiutare le persone. Loro ti hanno aiutato?

Molto poco. Molto poco.
Ogni anno che passava, avevo una persona in meno al mio fianco.
Sono sempre stato molto sincero; se qualcuno me lo chiederà, cercherò di aiutarlo, anche se dovrò dire cose che loro non vogliono sentire.
Sarebbe piaciuto anche a me avere qualcuno così vicino a me. Beh, non ho ricevuto niente di tutto ciò negli ultimi anni.
La mia famiglia c’è stata, ma non vengono dal mondo del tennis e non possono guidarmi in quel senso, mi hanno già aiutato molto.

Cosa hanno detto i tuoi genitori quando hai dato loro la notizia?

Mia madre non voleva più vedermi soffrire, così ha accettato con un sorriso; è la prima volta che mi dice: “Carlos, lascia perdere”.
Con mio padre è stato più difficile, davvero.
Il primo giorno mi ha detto di darmi un’ultima possibilità, ma la mia vita è mia e lui ha capito, ora mi vede sereno e felice, quindi va bene.

Ti sei bruciato a 27 anni?

Non sono bruciato, una persona bruciata è una persona che non vuole nemmeno allenarsi.
Potrei allenarmi otto ore di fila in questo momento.
In quest’ultima settimana in Tunisia in compagnia di Núria, ti assicuro che sono stato la persona che si è allenata di più in tutta la squadra.
Non è che ho perso la voglia, il problema era nel modo in cui affrontavo la concorrenza, e il fatto che non potevo più affidarmi a nessuno.
C’è solo una persona che potrebbe aiutarmi in questo momento e sono sicuro che con lui tornerei al mio miglior piazzamento, lo migliorerei addirittura.
Quella persona è Óscar Burrieza.
Il resto delle opzioni sarebbero tutte test, reinvestire i soldi e vedere cosa succede.

L’aspetto economico ha avuto un ruolo importante nella tua decisione.

Per tutta la vita ho investito soldi nel tennis, penso che sia come dovrebbe essere fatto, ma arriva un momento in cui i conti non tornano più.
Il mio cuore potrebbe chiedermi di giocare a tennis, ma il portafoglio non la pensa allo stesso modo.
Sono stato molto sincero con i miei genitori e anche con me stesso, so che il mio miglior piazzamento è stato 254, so cosa vuol dire giocare sul circuito Challenger e vedere che mi mancano delle cose.
Quello che posso dirti è che da 254 al mondo non guadagnavo soldi, ma non ho mai giocato a tennis pensando a quello.
Certo è però che a gennaio avrò 28 anni, e se avessi continuato senza guadagnare un euro… ne sarebbe valsa la pena?

Chi non risica…

Nella vita non si sa mai.
Ad esempio, per il 2021 avevo già nominato un nuovo allenatore, avremmo iniziato a lavorare a dicembre, ma in realtà non ne avevo voglia.
Quest’anno, inoltre, ho avuto pensieri che non avevo mai avuto prima, arrivando ai tornei e chiedendomi: “Cosa ci faccio qui?”
Fisicamente sono al meglio e a livello tennistico forse sto colpendo la palla come mai fatto prima, ma quando si perde la forza mentale è la fine.
Per tutta la vita ho avuto quel desiderio di mangiare il mondo, di andare dove era necessario, ma ora tutto è molto difficile per me.

Hai sofferto molto a causa del tennis?

A febbraio 2019 ricordo di aver passato un periodo terribile.
Uno psicologo doveva aiutarmi, non uno psicologo dello sport, uno psicologo “normale”.
Forse per tutta la pressione che ho avuto in carriera, gli infortuni, tutti quelli che mi hanno messo dei paletti, la fatica che ho fatto per arrivare alla posizione 254, visto che le persone non si fidavano di me… ecco forse tutte quelle cose si sono ammassate dentro di me e sono crollato.
Non avevo voglia di niente, nemmeno di uscire di casa. Ma è stato un bene per me.

Anche i continui cambi di allenatore non hanno aiutato.

Sai cosa succede?
Oggi tutto si basa sul denaro, non credono più nel giocatore, nel prendere la valigia, viaggiare e vedere dove si arriva.

Contano i soldi.
La gente pensa tutti i soldi che ogni giorno escono dalle tasche si trovino sugli alberi.
Il problema era che la mia testa pensava in grande, sono sempre stato molto esigente, ma poi c’era l’altra parte, la realtà che non mi vedeva essere ricco per realizzare tutto.
Se in queste condizioni non riesci a trovare quella persona che si fida di te, tutto diventa più difficile.

Ora che hai appeso la racchetta, non ti senti come se stessi lasciando un conto in sospeso?

Penso di no. Raggiungere il 254° posto nel mondo è una buona classifica, se lo avessi lasciato al 400°, avrei avuto una spina nel fianco.
In questo momento, per quanto ci abbia provato, non ti assicuro che avrei potuto migliorare quella classifica.
So che facendo le cose bene posso essere fra i 300 e i 260, su questo non ho dubbi, ma per arrivare dove voglio essere dovrei recuperare molte cose e migliorarne altre.
È un grande sacrificio che sarei felice di fare, ma senza quella persona accanto a me di cui posso fidarmi è impossibile.

“Il posto in cui voglio essere” è la Top 100?

No, non è necessario. Sarebbe bello per me spostarmi sul circuito Challenger, sentendomi come un tennista.
Il mondo dei Futures sta peggiorando sempre di più, ti trattano sempre peggio.

Non ti senti un giocatore di tennis, ti senti una merda.
La classifica è una conseguenza, sono numeri, sono ancora 240° e mi sento un tennista.
Il mio obiettivo era fare il giro del circuito Challenger, salire a giocare un po’ di ATP, scendere di nuovo al Challenger, spostarmi.
Se sei tra i primi 100, è tutto molto bello, ma non tutti arrivano.

Immagina un diagramma delle responsabilità. Come distribuiresti le percentuali che ti hanno impedito di fare il salto?

Attribuisco il 70% all’ambiente che mi circondava, in particolare un manager che avevo: quella persona è stata la cosa peggiore che mi sarebbe potuta accadere.
Poi metterei il 15% sugli infortuni e il 15% su me stesso.
Ho anche avuto molti sensi di colpa, ma il resto…

In che modo l’ambiente circostante può influenzare il tuo gioco in campo?

E’ molto facile: la persona che hai al tuo fianco quotidianamente è il capo, in questo caso l’allenatore.
Ho obbedito a tutto quello che mi hanno detto, anche se molte volte non è stata la scelta migliore.
Sono sempre stato una persona con tanta voglia di imparare, a tutte le età ho imparato cose, fin da piccolo.
Se venissero da me e mi facessero cambiare qualcosa, allora obbedirei, anche se il cambiamento non fosse per il meglio.
Quando l’ambiente vuole inventare con te, fare le cose sbagliate e tu presti attenzione, allora c’è il rischio che le cose inizino ad andare storte.
All’inizio era tutto molto semplice, avendo soldi dovevo pagare qua, là e là; ma quando mi trovai da solo, nessuno venne ad aiutarmi, solo la mia famiglia e i pochi amici che ho avuto.

Non hai avuto solo gente negativa intorno a te.

Quando mi hanno allenato bene, senza inventare niente, le cose sono andate bene.
All’Accademia Juan Carlos Ferrero non hanno mai inventato nulla, si sono semplicemente dedicati ad allenarmi ogni giorno e migliorare ciò che avevo.
Ai suoi tempi, anche Pedro Rico lavorava in questo modo.
Certo, quello che ha fatto Óscar Burrieza con me è stato qualcosa di incredibile, non credo che nessun altro avrebbe ottenuto qualcosa del genere.

Forse il 2021 era l’anno giusto per spiccare il volo.

Potrebbe essere, ma non sono uno che può andare avanti da solo, ho sempre creduto molto nella squadra.
In questo senso avrei dovuto essere più egoista, ma mi costa molto.

Alcuni allenatori hanno indicato la tua altezza (174 cm) come il più grande dei tuoi ostacoli.

Certo, ai tempi potevo avere i miei limiti, ma ho giocato molto bene con i miei 174 cm.
A causa di com’è il tennis in questo momento, forse potrebbe essere più difficile che per gli altri, ma non è scontato.
Quando avevo 16 anni non mi sembrava un handicap, ma il tennis è cambiato molto.
Ora non appena entra in gioco la tattica, e bisogna attaccare prima dell’altro, sembra che vinca sempre chi tira più forte, tranne i primi tre che fanno tutto bene e sono di un altro pianeta.
Sono orgoglioso della mia carriera, di aver raggiunto il 254° posto nel ranking, quello che mi sarebbe piaciuto sapere, è cosa sarebbe successo se non avessi avuto quell’infortunio a 18 anni che ha cambiato tutto.

Parliamo della persona che ha cambiato tutto per te nel 2020: Núria Parrizas.

Beh, ci conoscevamo da quando eravamo piccoli, ma non ci eravamo mai parlati (ride).
All’improvviso ci siamo avvicinati, abbiamo iniziato a conoscerci ed è così che è iniziato tutto.
Durante la quarantena abbiamo iniziato ad allenarci insieme, le ho detto di venire ad Alicante per iniziare un nuovo progetto con gli allenatori di Nadia Podoroska, e la cosa le sembrò buona.
Hanno iniziato quel progetto, hanno lavorato per due settimane e la verità è che ero molto felice, finché un giorno le ho chiesto di essere io stesso il suo allenatore.
Il suo viso si illuminò.

Dicono che non sia un bene coniugare il personale con il professionale…

Ne abbiamo parlato dall’inizio, mi piace essere molto professionale.
Le ho detto che sarebbe stata dura, impegnativa, mi piacciono le cose fatte bene, quindi sono stato franco con lei.
“Per essere dove vuoi essere devi dare di più, devi allenarti di più”.
Núria è diventata la 196° al mondo da sola, ma se vuole fare il salto successivo ha bisogno di una serie di cose.
La vita che abbiamo scelto è una vita che richiede sacrifici.
Si fida di me e so che può arrivare molto più in alto, quindi perché non provare?

Come ti senti in questo nuovo ruolo?

Cavolo, è troppo presto per dire se posso essere un buon allenatore, ma so che per lei lo sono.
La conosco perfettamente, so cosa pensa, cosa è bene per lei e cosa è male per lei.
Quando ti connetti in questo modo con il tuo allenatore, è il meglio che ci sia.
Con uno sguardo ci capiamo, sento che funziona, è quello che ho sempre voluto avere con il mio allenatore.
Era abituata a farlo da sola, quindi si sta ancora adattando.
Nel primo torneo gli è costato un po’, ma in questo secondo mi sono divertito molto di più, e non solo perché ha vinto il titolo.

Adesso ha 29 anni, è troppo tardi per raggiungere la top 100?

Non mi piace parlare di numeri, ma so che ha il potenziale per esserci.
Quello che al momento la penalizza è il servizio, anche se lo sta migliorando.
Stiamo lavorando molto anche sulla mobilità, Núria ha una cosa molto buona ed è che migliora molto rapidamente.
In ogni cosa su cui ci concentriamo, se ci applichiamo per un tot di ore al giorno, lei migliora immediatamente.
Ora voglio vederla nei grandi tornei per sapere dove si trova rispetto alle altre ragazze.
Al momento stiamo sistemando alcune cose sul suo gioco, se a questo aggiungiamo i colpi che ha nel suo repertorio, non ho dubbi che il salto che potrà fare sarà abbastanza grande.

Hai immaginato una transizione così veloce?

È una scommessa, ogni giorno noto che sto imparando cose.
Tempo fa ho detto che se avessi smesso di giocare a tennis e avessi iniziato ad allenare, sarebbe stato per allenare lei, solo lei.
Molte persone mi dicevano che potevo diventare un bravo allenatore, che sapevo molto di tennis ma, prima di incontrarla, quello che avrei voluto era avere qualcos’altro, aver studiato una carriera, lasciare il tennis e avere la possibilità di praticarne un altro lavoro.
Non mi vedevo come un allenatore, ma incontrarla ha cambiato tutto, e in meglio.

Forse quello che non hai ottenuto come giocatore ora ti piace come allenatore.

Non è la stessa cosa.
Quando sei un giocatore non ti rendi conto di nulla, vinci e perdi, tutto è concentrato su di te, quindi non ti importa delle altre persone.
Il giocatore tende ad essere un po’ egoista, questo è quello che mi ha spaventato di più.
“Adesso sarò felice delle vittorie?”
Ebbene sì, sono molto felice, soprattutto di vedere come Núria sta lavorando e si evolve ogni giorno.
Adoro aiutare le persone e lei è super grata in questo senso. Quando avevo 16 anni non fui affatto grato.

Quale insegnamento di vita ti lascia la tua carriera sportiva?

Mi ha reso più forte e una persona migliore.
Sono sempre stata una persona umile, quando ho vinto e quando non l’ho fatto, ma molte volte non apprezziamo quello che abbiamo fino a quando non ti viene male.
Ricordo che a 17 anni avevo delle pessime abitudini.
Se mi davano molti vestiti, era normale; se mi davano molte racchette, potevo permettermi di romperne qualcuna, non succedeva niente.
Arrivi a non apprezzare quello che hai.
Ora che ho smesso di giocare mi sono finalmente liberato di quello che pensano gli altri; lascia che dicano quello che vogliono, io ora sto bene con me stesso.

Cosa ti ha fatto più male leggere o sentire nei tuoi confronti?

Mi ha infastidito molto quando mi hanno chiamato “Carlos Boluda, il giocatore che era”.
Stavo ancora giocando!
Parlavano di me come del tennista che avrei potuto essere, ripetendo più e più volte gli errori, facendo confronti.
Ora puoi parlare di tutto questo, ora sì.

Sei preoccupato che le etichette che ti hanno appiccicato addosso possano rimanere anche ora che hai smesso?

Niente, zero.
Quando giocavo, quando mi sentivo più solo, mi preoccupava, mi ha fatto molto male.
Per fortuna adesso non mi tocca più, sono molto tranquillo.

Se non ci fosse stata una figura come Rafa Nadal e tutti quei confronti, pensi che avresti fatto meglio?

(Pensa) Non lo so.
Nel mio caso, penso che quello che mi ha ferito di più sia stato il mio ambiente, anche se quei confronti non sarebbero certamente esistiti.
La Spagna è un paese che se un atleta fa bene qualcosa ci si identifica molto, quindi mi avrebbero paragonato a un altro.
Forse non avrei avuto così tanta pressione, ma non credo che sarebbe cambiato nulla.
Ciò che più ha influenzato la mia carriera sono state le decisioni sbagliate che sono state prese.
Suppongo che alla fine sarei stato messo sotto pressione in un altro modo.

Immagina che tutte quelle persone che dicono che Carlos Alcaraz è il nuovo Rafa Nadal fossero qui. Cosa diresti loro?

Come Nadal non ci sarà nessuno, tanto per cominciare.
Quello che posso dirti di Alcaraz è che ha un ambiente molto buono, Juan Carlos Ferrero è un fuoriclasse come persona e come professionista, ma c’è un aneddoto che capirai rapidamente. La prima volta che ho parlato con Alcaraz è stato nel 2018, quando entrambi ci stavamo allenando all’Accademia.
Aveva 15 anni ma aveva già tante luci addosso e quella settimana ha perso nel secondo round dell’ITF Junior che si è disputato lì.
Dopo quella partita l’ho incontrato negli spogliatoi e gli ho detto: “Come stai Carlos? Oggi le cose non hanno funzionato”.
La sua risposta è stata la seguente: “No, non hanno nemmeno iniziato, non mi sono allenato molto bene la scorsa settimana e oggi non mi sentivo bene. Ma non succede niente, devo imparare e continuare”.

Che testa!

Aveva appena perso! Quella frase mi è rimasta impressa, ho capito che questo ragazzo aveva una mentalità che pochi hanno.
Io a 15 anni dopo una sconfitta avrei fatto un dramma, forse mi ci sarebbero voluti tre giorni per tornare ad allenarmi e dimenticare la partita che avevo perso.
Durante le prime ore non potevano nemmeno parlarmi. Quel ragazzo ha qualcosa di speciale e ora che sono passati gli anni è stato confermato.
È un ragazzo che impara dalle sconfitte e poi torna più forte, questa è una grandissima virtù.
A parte il tennis che ha, ha una forza mentale impossibile da immaginare per la sua età.

Siamo pronti per entusiasmarci dunque?

Ovviamente!
Ha tutto per essere un campione.
Non mi piace parlare di classifica per come è stata la mia vita, ma lo immagino arrivare molto in alto.
Nel mondo del tennis non sai mai fino a che punto puoi andare, ma al ritmo che sta tenendo sono sicuro che finirà per essere un fenomeno.

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