Edberg e Federer: la rivoluzione dell’ovvio

Cosa è cambiato nel tennis di Roger Federer grazie al rapporto tecnico con Stefan Edberg? Ce lo chiediamo in questa analisi che vuole proporre ai nostri lettori una piccola chiave di lettura delle principali novità tecniche che lo svedese ha proposto al campione svedese, scoprendo che talvolta sono i consigli più ovvi quelli vincenti.

Gli appassionati più attenti ricorderanno che per un lungo periodo della sua splendida carriera Roger Federer è andato in giro senza coach. Fu l’anno in cui si separò da Peter Lundgren, che lo aveva guidato nel difficile passaggio al professionismo in modo più che egregio. Per quell’anno (se non andiamo errati era il 2004) se la cavò più che degnamente insieme al suo preparatore atletico Paganini e al suo fisioterapista Pavel Kovac.
Nel 2005 ci fu l’avvento di Tony Roche, quindi la parentesi terraiola con Igueras, piuttosto avara di risultati proprio mentre arrivava il ciclone sul rosso Nadal, quindi Paul Annacone, col quale ha condiviso gioie e dolori.
Quindi di nuovo solo, finché il buon Severin Luthi fu chiamato a seguirlo nel circus, già che girava il mondo per sovraintendere alla sparuta delegazione di giocatori svizzeri nei tornei atp. La stagione 2013, disastrosa per i suoi standard, che lo vide scendere fino alla sesta posizione del ranking, lo convinse a dare una svolta, fu così chiamato al capezzale del tennis dello svizzero uno che di tennis brillante se ne intende, Stefan Edberg. Ed è proprio dell’esperienza con l’ex tacchino freddo (prendendo a prestito una definizione di Bisteccone Galeazzi) che vorremmo dire qualcosa oggi, soffermandoci su qualche osservazione tecnica che soprattutto Cincinnati ci ha suggerito.

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Già dall’ultima edizione di Wimbledon Roger Federer propone una novità che molti avranno colto: un servizio curato, forse di più e meglio che negli anni del dominio, nei quali il dritto svolgeva il compito di killeraggio, alternandosi al rovescio, che restava l’arma di contenimento e di ricamo. Scarsissima presenza del gioco di rete, che pure si porta da casa.
Anzi, proprio quella latitanza del gioco a volo, a modesto parere del vostro scriba, rappresenta il punto “mentalmente” inferiore che Roger ha patito nel confronto con l’arrembante Nadal, alla cui palla arrotatissima e alta non sapeva che opporre un palleggio che gli permettesse di entrare col dritto, specie incrociato, riuscendo a rompere la difesa fisica del maiorchino, ma spesso fallendo in questo obiettivo e quindi perdendo molto partite.

Gli aficionados si chiedevano, e a ragione, perché Federer accettasse quel tipo di gioco, sfibrante (sul piano mentale) e sfiancante (sul piano fisico) che favoriva nettamente il suo avversario più giovane. La medesima forma di sudditanza tattica appariva in tutta la sua evidenza anche a Wimbledon, dove Federer ha anche perso da Nadal accettando lo scambio sulla “terba” della finale, vincendo a fatica o, più logicamente, perdendo.
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L’arrivo di Edberg segna uno spartiacque vincente quanto ovvio. E si sa, l’ovvio di solito è abbastanza rivoluzionario.
Lo svedese deve esserci seduto insieme a Roger (ci piace immaginarcela più o meno così) e con i modi gentili che accomunano questi due immensi campioni, avrà detto allo svizzero che esiste una parte del campo in cui è assoluto dominatore: la rete. Con paziente tessitura mentale deve aver convinto Federer che con gli anni che avanzano giocare “sulla distanza” con gente come Murray, Djokovic e (finché reggeva questi livelli), Nadal, era semplicemente un simpatico suicidio. Lo ha convinto a togliere i “pannoloni” che gli amici di Controbreak avevano virtualmente fatto indossare ad un timoroso e falloso Federer, e a vestire i panni del giocatore che propone e impone il suo gioco, costi quel che costi. Come tutti i giocatori di attacco (citofonare, per l’appunto, Edberg) ci sta che si sbagli qualche approccio, che si prenda qualche passante. Ma lo schema tattico è quello, alternato, alla bisogna, a dei palleggi da fondo, da diradare al massimo però proprio in chiave “durata”.

E quindi cura innanzitutto di un colpo cruciale per il gioco d’attacco, il servizio. Federer era già maestro nel proporre tutto lo scibile della variazioni di rotazione, velocità e direzione, ma Edberg ha imposto un lavoro anche sulla seconda palla, diventata ancora più veloce e sicura. I dati di Cincinnati, in questo senso, parlano chiaro: zero servizi persi, zero doppi falli. Pazzesco. Meraviglioso. Vincente.
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Ma le novità tecniche non finisco qui. Lo svedese ha evidentemente ricordato a Federer che i monotoni flippers specialisti nel fondo campo spesso si arenano a due metri dalla linea di fondo, luogo sicuro da cui recuperare tutto e rimandare (di) tutto. Ed ecco che torna il colpo anomalo, quel back corto che Federer già ogni tanto mostrava di rovescio, ora anche di dritto, a sparigliare gli equilibri dei suo avversari, costretti a giocare in affanno, su colpi corti e lenti, magari fintati e ben nascosti.

E poi il gioiello di Cincinnati, che se fosse arrivato a Wimbledon, avrebbe cambiato una partita già strana di suo, in cui entrambi i giocatori potevano essere due set a zero in vantaggio: la risposta anticipata. Il chip & charge. L’anello finale del gioco d’attacco in qualsiasi situazione di gioco, la ciliegina che solo i giocatori in possesso di una velocità di reazione non comune (di gambe, braccia), in grado di amministrare il loro campo visivo (come insegnava il M.° Lombardi) come pochi, sanno fare. Così Federer ha risposto parecchie volte a 2 metri dalla linea del servizio, di fronte ad un allibito Djokovic. E se è vero, come è vero, che Federer pareva volare grazie ad una condizione fisica decisamente al top, è anche da ricordare come stando più attaccato alla linea di fondo, lo svizzero è chiaramente in grado di coprire il campo meglio sia in verticale che in obliquo tagliando la strada sui colpi più angolati.

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Insomma, una piccola “rivoluzione dell’ovvio” quella messa in campo, a nostro parere, da Stefan Edberg per riportare Federer nelle condizioni di battere chiunque.

In vista dell’ultimo slam di stagione resta l’incognita tre set su cinque a gettare qualche ombra sulla possibilità di apporre un ulteriore e fatidico sigillo su questo tipo di prova. In questo momento Federer appare psicologicamente nuovo, libero, e quindi avvantaggiato su un Djokovic sotto pressione per le due finali master 1000 perse e un Murray che pare arrivare sempre sul punto di fare “il botto”, ma che invece poi torna nei ranghi.

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