John McEnroe, “The Genius”: arte o tennis?

Quando il tennis era uno sport geniale – parte seconda. Di Roberto "ItalyFirst" Eusebi

Cari amici di Tennis Circus, benvenuti  alla seconda parte (trovate la prima parte qui) della “monografia” dedicata al grande SuperMac, altro suo nickname, direi azzeccatissimo.
Miracolosamente, non sono stato né esiliato e neppure bannato dal mio supervisor che anzi molto gentilmente mi ha appena chiamato, rivolgendomi dei gran complimenti per il pezzo precedente: “Bravino, ma quando parlerai di tennis invece che di storielle della tua infanzia? Ho sulla mia scrivania tanti bei curricula molto interessanti…”.

E oggi, dunque, a grande richiesta, si parlerà finalmente di palline e racchette. Ma prima, darò qualche numero relativo al nostro eroe a stelle e strisce: un po’ come il Mac quindi, dato che “dare i numeri” era pure la sua grande specialità.

  • Ha terminato la stagione in vetta al ranking per quattro anni consecutivi dal 1981 al 1984.
  • Ha vinto 7 titoli Slam in singolare (3 Wimbledon e 4 US Open), 9 in doppio e 1 in doppio misto, 3 Master, complessivamente 77 titoli in singolare, 79 nel doppio maschile.
  • A lui appartiene pertanto il record maschile nell’era Open del numero di titoli totali vinti in singolare e doppio: 162, incluso il titolo di doppio misto conquistato al Roland Garros nel 1977 e le affermazioni in Coppa Davis, quella sentita e importante di una volta, che ha vinto addirittura per cinque volte. Di sicuro non è stato il miglior singolarista a livello di vittorie, ma certamente è stato uno dei migliori doppisti della storia del tennis. Il suo compagno abituale di questa disciplina, Peter Fleming, con cui ha conquistato 58 dei suoi 79 titoli ha dichiarato: “La miglior coppia di doppio del mondo? Quella composta da John McEnroe e un altro”.

Basta numeri ora, e se voleste saperne di più sulla carriera e la vita del Mac, andate a “googlare” che lì sono molto più precisi e dettagliati di quanto possa esserlo io. Qui invece proverò a spiegare, per quanto possibile, in cosa consista quel “quid” sfuggente che ha reso McEnroe agli occhi di chi l’ha visto giocare, il tennista più incredibile che abbia mai calcato un campo da tennis.
E vi giuro che è proprio così, almeno per me: in tutta sincerità, se con una bacchetta magica potessi prolungare la carriera di un giocatore nel suo momento magico per l’eternità, io che l’ho visto in azione decine e decine di volte, ecco non avrei dubbi: la mia scelta, senza pensarci un secondo, ricadrebbe su di lui, The Genius. Ma non sono l’unico a pensarla così:

 

È un figlio di buona donna ma è un genio.Jack Kramer, tennista.

 

Borg e Connors vi prendono a colpi d’ascia, Mac vi lavora con uno stiletto, e in pochi minuti buttate sangue da cento ferite e alla fine muori dissanguato.Arthur Ashe, tennista.

 

Di giocatori come McEnroe se ne trova uno ogni cento anni.Stefan Edberg, tennista.

 

McEnroe è uno di quei giocatori che non possono essere trascurati quando si tratta di risolvere un quesito antico, stabilire cioè chi sia stato il più forte tennista di tutti i tempi. Premesso che la trasformazione del gioco e delle racchette rende impossibile una risposta credibile e convincente, credo che si possa indicare in McEnroe il tennista più geniale in tutta la storia di questo gioco. La sua magica mano sinistra sapeva ricavare traiettorie incredibili, rotazioni diaboliche, angoli che buttavano l’avversario fuori dal campo. Rino Tommasi, il Maestro.

 

Se fossi un po più gay di quello che sono, mi farebbe piacere essere accarezzato dalla volée di McEnroe.Gianni Clerici, lo Scriba.

 

Il tennis di McEnroe è fuori da ogni canone classico: servizio con spalle alla rete e piedi paralleli alla linea di fondo, traiettorie mancine slice, velenose come un cobra, che se giocate esterne mandavano l’avversario in braccio al giudice di linea. E poi ancora, colpi a rimbalzo piatti giocati con i piedi in campo, aperture minime e timing sulla palla iper anticipato, velocissimi, per l’effetto fionda regalato dell’incordatura impossibile per noi semplici umani (18 kg, in pratica un retino per catturare i granchi sugli scogli).

Però mai e poi mai due colpi uguali, una specie di Paganini del tennis. A rete, che ve lo dico a fare, nessuno come lui, né prima, né dopo, né mai. Ha creato un tennis unico, personale, distintivo.
Vi chiedo se abbiate mai visto servire un altro giocatore come lui: la risposta è no. nessuno si è azzardato a provarci, pena fratture vertebrali e palline scagliate a raffica nei parcheggi delle auto.

Negli anni recenti si è parlato di un nuovo Federer, Dimitrov, che ha fatto tempo ad invecchiare senza neppure avvicinarsi lontanamente al modello originale, o di un nuovo Nadal, Alcaraz, sebbene Carlitos con Rafa abbia ben poco a che spartire, oppure di un nuovo Djokovic, Medjedovic, anche se è decisamente troppo presto per dirlo.

Ma in tutti questi anni non ho assolutamente mai sentito parlare di un possibile nuovo John McEnroe. Forse qui risiede il mistero di come moltissimi appassionati di tennis come me lo abbiano amato in un modo così profondo e incorruttibile. Riconoscono in lui l’unicità, e ciò che è unico diventa prezioso e fonte di ispirazione, come solo può esserlo un capolavoro assoluto dell’arte, la Gioconda di Leonardo da Vinci o la Pietà di Michelangelo, tanto per citare un paio di esempi eclatanti: di fronte a tale incommensurabile bellezza, non si elabora più razionalmente ciò che si vede, ma semplicemente ci si abbandona alle emozioni che la bellezza assoluta regala a chi la sa riconoscere. The Genius non giocava a tennis, creava tennis come fosse in arte in movimento.

E qui un osservatore attento potrebbe domandarmi: “Ma se McEnroe è stato un giocatore cosi fuori dagli schemi, forte e talentuoso, perché ha vinto così “poco” rispetto ad altri mostri sacri di questo sport?”.
Effettivamente nella classifica dei plurivincitori Slam, che in sostanza è la classifica che in un certo senso misura la “grandezza” di un giocatore di tennis, John McEnroe è molto indietro, a pari merito con Wilander e dietro di una lunghezza a Ivan Lendl. La risposta purtroppo esiste, è breve e dannatamente dolorosa: “Un luogo, una data, un nome: Parigi, 1984, Ivan Lendl.”

Ma di questa tragica giornata di sport (almeno per il sottoscritto e i tifosi del Mac) in cui la forza bruta sconfisse la grazia, la tecnica, l’eleganza, e la creatività, vi parlerò alla prossima occasione, sempre che il mio supervisor avrà gradito lo sforzo da me profuso nel discettar di tennis.

A settimana prossima!

Roberto “ItalyFirst” Eusebi

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