Nadal dopo lo Us Open: “Non siamo riusciti a far crescere i tornei in Spagna, le altre federazioni ci superano”

Il numero 2 del mondo, dopo il quarto trionfo in carriera a New York, ha parlato all'Atp. A 33 anni, Nadal ha ancora voglia di stupire, si emoziona ed emoziona. I giovani sono sempre più forti e vicini alla vetta, ma la situazione del tennis spagnolo preoccupa. Le altre federazioni sono cresciute molto di più, incluse Canada e Italia.

Dopo la straordinaria finale contro Daniil Medvedev che gli ha regalato il quarto Us Open, 19esimo Major in carriera, Rafael Nadal ha concesso un’intervista al sito dell’Atp. Tanti i temi trattati, dalle sensazioni della battaglia di domenica al recupero, fisico e mentale, che inizia proprio in questa settimana con un po’ di relax a Manacor. L’età avanza, ma la passione non diminuisce e il campione maiorchino guarda con orgoglio al suo 2019, costellato di successi, ma anche momenti estremamente difficili. Per chi gioca, ma anche per chi semplicemente guarda, è un modello. A 33 anni vincere è sempre più emozionante, ma i giovani sono sempre più competitivi e il futuro è per loro luminoso. In quest’ottica, Nadal ha parlato anche del tennis spagnolo, che dopo un’epoca d’oro dovrà ora attraversare situazioni non facili.

UNA FINALE STRAORDINARIA – Lasciando inizialmente da parte il campo, l’intervista si concentra sulle emozioni provate dal campionissimo domenica sera, dopo la finale. Impossibile trattenere le lacrime per lui nel post-match, proprio perché consapevole dell’impresa compiuta contro un avversario, Daniil Medvedev, disposto a lottare 4 ore e 49 durante la sua prima finale in Grand Slam. “Le circostanze vanno capite, le ultime tre ore sono state durissime, perché avevo in mano la partita”. E aggiunge: “Pensandoci ora, realizzo concretamente con quale velocità il match è sfuggito al mio controllo in favore di Medvedev. Sono passato dal vedere il traguardo fino ad una sconfitta vicinissima. Ho capito non solo quanto avessimo lottato, ma quanto ci fossimo spinti oltre mentalmente e fisicamente, fino al suo calo, che ho saputo sfruttare per rompere l’equilibrio“. La finale, che insieme a quella di Wimbledon è sicuramente la più bella partita dell’anno, lascia ovviamente le sue scorie. Soprattutto se, come per Nadal, si è andati già oltre i 30 anni d’età. A 33 anni però, il numero 1 della Race 2019 è ancora al top, e sorprende tutti. Un decennio fa si pensava di non poter vedere lo spagnolo ancora in campo all’età attuale. Da domenica, invece, è il tennista Over-30 più vincente di sempre a livello Slam. Con l’ultimo successo è a quota cinque Major in tale parziale, a quattro sono invece fermi i due storici rivali (e vi si fermarono anche Rod Laver e Ken Rosewall tanti anni fa). I giudizi smentiti (e da smentire), però, non sono mai stati un chiodo fisso per Nadal: “Non mi preme dimostrare di poter fare cose in cui gli altri non riescono. Resto lontano da questi discorsi, nel tennis e nella vita quotidiana, perché credo che l’ambizione e la motivazione debbano venire dall’interno, non da stimoli esterni. Cerco di lavorare semplicemente al meglio delle mie possibilità e mi lascio circondare solo da energia positiva”. Un obiettivo in cui sicuramente, sin dagli inizi, Nadal riesce come pochissimi al mondo. Perché nonostante i leciti dubbi, anche personali, sulla tenuta fisica, prende le cose giorno per giorno ed ha le idee ben chiare: “Sono soddisfatto del mio approccio. Amo pormi degli obiettivi, adoro la competizione e finché il mio corpo mi permetterà di lavorare tutti i giorni ad alto livello continuerò a giocare. Il tennis mi appassiona ancora molto”. Parole che sono ingredienti della lotta contro il tempo e contro lo smalto dei giorni migliori che va via: “Non mi sento più vecchio della mia età, sono ancora in una fase molto solida della mia carriera. Sta tutto nel non perdere il senso della realtà. Nel rendersi conto che si invecchia, che non si può giocare più il numero di partite che si giocava in giovane età. Bisogna prendersi meglio cura del proprio corpo, prendere decisioni sagge, in tutto quello che può allungare la carriera”. Scelte sagge, dunque, come lo è stata quella di migliorare il proprio servizio proprio dopo lo Us Open del 2018. Aggiustamenti tecnici che lo hanno portato prima in finale all’Australian Open, e poi al trionfo nella maratona di New York. Una gioia indescrivibile per tutto il clan Nadal. La più significativa, dice il coach Carlos Moya, da quando segue stabilmente il connazionale il panchina.

Nadal Us Open trophy 2019

 

IL SUPER 2019 DI NADAL – La stanchezza è così tanta, che Nadal non può giudicare ancora la finale per intero: “Ha avuto tutti gli ingredienti per essere una finale che verrà ricordata a lungo. Ma quando sei sul campo, pensi solo a vincere, mentre per dare il mio verdetto dovrei rivedere la partita dall’inizio alla fine”. Una finale così lunga, distrugge chi perde, ma lascia vuoto anche il vincitore. E Nadal si sente ancora stanco, anche nella sua Maiorca. Il recupero procede lentamente e dei piani per il finale di stagione si parlerà più avanti: “Dovrò attendere i prossimi giorni per vedere come il mio corpo guarisce. Una cosa di cui sono sicuro è però la Laver Cup, segnata sul calendario”. “Mentalmente”, continua, “si recupera già solo riposando. Giocare tornei così importanti però richiede tantissimo, e il mio corpo è stato stressato molto dalle fatiche delle scorse settimane. Devo programmare il mio calendario senza ostacolare il mio recuperò, scegliendo ciò che può portarmi ad ottenere i risultati più produttivi”. La routine di recupero dopo i grandi eventi, comunque, è cambiata di pochissimo negli anni. Oggi, grazie alla sua Academy di Maiorca, il campione di casa si riavvicina al tennis con più tranquillità, potendo sfruttare proprio nella sede campi sia in cemento che in terra: una volta arrivati poi al circolo per il torneo, si testano lì le condizioni. Dopo l’ultimo Slam di stagione, però, si può tracciare anche un bilancio dell’annata, e Rafael Nadal non può che essere felicissimo. Soprattutto parlando della reazione avuta in primavera, dopo le grosse difficoltà nei primi tornei su terra rossa, Monte-Carlo e Barcellona. Periodo negativo che lo aveva costretto a meditare su un eventuale abbandono dei campi per tutto il 2019, che da lì in poi ha regalato solo sorrisi. Un parziale di trenta vittorie e due sconfitte, Madrid e Wimbledon, con quattro titoli: due Masters 1000 (Roma e Montreal) e due Grand Slam (Roland Garros e Us Open, è la quinta volta che si aggiudica due titoli di tale categoria nella stessa stagione, solo Roger Federer fa meglio con il record di sei). Con questi numeri, è normale che si vada a parlare del probabile ritorno al numero 1 del mondo, Djokovic dista infatti 460 punti. Ma a 33 anni, questa non è più una questione di prim’ordine per lui: “Ciò che mi spinge di più è la voglia di essere competitivo, la miglior versione possibile di me stesso. L’intento è quello di darmi sempre la possibilità di giocare al livello più alto nei tornei più importanti, per più tempo possibile. Per fare questo, devo impegnarmi nel ridurre il mio calendario: ho giocato undici tornei quest’anno (raggiungendo, escluso l’Atp 500 di Acapulco, sempre almeno le semifinali). Non so quanti altri ne giocherò da qui a fine anno. Giocarne così pochi vuole anche dire che ho sempre ottenuto ottimi risultati”. Non si fa distrarre nemmeno dall’evidente primato nella Race per Londra, che conta i punti solamente del 2019. Lì, con 9225 punti, il vantaggio su Djokovic è molto solido, e la lotta per il trono a fine stagione si fa sempre più calda. “Sarebbe gratificante chiudere al primo posto, ma non posso sprecare troppe energie per inseguirlo. Ho bisogno di quelle risorse per allenarmi e competere al massimo nelle settimane in cui giocherò. Anche se non dovessi farcela utilizzando questo approccio, posso dire di essere soddisfatto della mia stagione”.

Nadal Us Open 2019

 

IL FUTURO DEL TENNIS – Alla fine dell’intervista, lo sguardo di Nadal si rivolge al futuro, analizzando anche ciò che aspetta il tennis spagnolo con l’addio della miglior generazione di sempre. I complimenti vanno ancora a Medvedev, il più forte tra i giovani al momento, e l’ex numero 1 puntualizza: “Nei prossimi anni sentiremo parlare di loro, Medvedev, Khachanov, Rublev, Zverev, Berrettini, Auger-Aliassime e Shapovalov. Sono tutti lì. Il cambio della guardia si aspetta da tanto. Ma sta arrivando più lentamente perché io, Federer e Djokovic siamo in testa alla classifica Atp da quattordici anni. Già alcuni pilastri come Ferrer hanno però dovuto mollare”. Se la fiducia e il rispetto verso la tanto pubblicizzata Next-Gen non mancano, nettamente meno rosee sono le prospettive per il tennis spagnolo, di cui il numero 2 del mondo fornisce un interessante punto di vista. Parlando in prima persona plurale, in forma quasi autocritica, Nadal ammette: “Quello che il nostro tennis ha vissuto negli ultimi trenta anni è irripetibile. E ora fronteggiamo giocatori da nazioni che a livello di budget ci superano di moltissimo”. I riferimenti vanno ai paesi ospitanti i quattro Grand Slam, ma anche a Canada e Italia grazie a Rogers Cup e Internazionali Bnl d’Italia”. Poi termina sempre al noi: “Durante questi anni non siamo stati in grado di affermare i nostri tornei allo stesso livello (di quelli sopra citati). Non è stato possibile generare più entrate, tali da promuovere maggiormente il nostro sport. Detto questo, dobbiamo osservare la crescita dei nostri giovani come Carlos Alcaraz Garfia, Jaume Munar e Pedro Martinez”. Essere un esempio da seguire per i giovani, connazionali e non solo, è ovviamente un grande onore per il detentore di dodici Roland Garros: Mi fa piacere sapere che ispiro le persone con ciò che faccio. Dobbiamo tutti alzarci la mattina e lavorare duramente, guardare con positività a tutto ciò che la vita ci mette davanti. Niente ti riempie di più del sapere che aiuti la gente a sentirsi più forte spiritualmente”.

 

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