Il Miami Open, storico e prestigioso appuntamento che conclude il Sunshine Double, cambia location, abbandonando così l’isola di Key Biscayne dopo trentadue anni.
“Quando la gente arriverà qui, capirà che evento straordinario stiamo creando”. Così parlava il direttore del Miami Open, James Blake, mentre si stavano completando i lavori per l’inizio della nuova era targata Hard Rock Stadium. L’impianto, che già ospita i match dei Miami Dolphins, è stato adeguato, quindi, alla disputa di incontri di tennis ed è stato dotato di ben trenta campi, di cui 11 per gli allenamenti, in gran parte costruiti nel vecchio parcheggio sud dello stadio. Una struttura moderna che disegna il futuro di una delle manifestazioni stagionali più importanti dopo gli Slam.
Il patron della celebre franchigia del campionato di football americano, Stephen Ross, ha spinto per ospitare il torneo e mantenerlo a Miami dopo l’infruttuoso esito di una battaglia legale lunga cinque anni per l’ammodernamento di Crandon Park. Il progetto di rinnovamento del vecchio impianto nell’isolotto di Key Biscayne è stato bloccato dalla famiglia Matheson, vecchi proprietari della zona che in base a un accordo del 1993 mantengono potere decisionale su ogni modifica dell’area. L’ostruzionismo di Bruce Matheson ha bloccato l’iniziativa che pure i cittadini avevano mostrato di gradire, a testimonianza di un referendum, che aveva fatto registrare il 70% di sì alle modifiche proposte.
Il torneo perde qualcosa in termini di fascino paesaggistico, ma il salto di qualità sul piano strutturale e di potenziale esperienza per i giocatori è evidente. La nuova sede prevede due palestre, di cui una al coperto, spogliatoi decisamente più grandi e una players lounge grande il triplo della precedente. Oltre al centrale, la nuova sede prevede un Grand Stand da 5000 posti, il campo 1 da 3000 e il campo 2 da 1500 spettatori. Ma l’intento complessivo non è circoscritto al tennis. È sempre più chiaro il piano di Ross di trasformare l’Hard Rock Stadium in una struttura che viva tutto l’anno, infatti ha già ospitato il college football, amichevoli di calcio e una lunga serie di concerti. E le parole di Blake, ex numero 4 del mondo e oggi a capo dell’organizzazione dell’evento, non pongono limiti al miglioramento dell’avveniristico impianto: “A Crandon Park, le persone sapevano dove andare, conoscevano il posto. Ora anche i giocatori rischiano di perdersi tra lo spogliatoio e la lounge. Ma vogliamo da loro, e dagli spettatori, tutti gli input possibili per migliorare. Non abbiamo restrizioni. Non abbiamo limiti“.
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