Tanti auguri a Andre Agassi, icona di stile e uomo fragile, ma anche leggenda e filantropo

Un tributo ad uno degli otto tennisti in grado di completare il Career Grand Slam. Andre Agassi è stato un’icona del tennis, ora è anche un filantropo.

Esattamente 50 anni fa, a Las Vegas, nasceva una delle leggende della storia del tennis. Nei vent’anni di carriera professionistica, Andre Kirk Agassi diventerà il quinto degli otto eletti a completare il Career Grand Slam. È stato il primo a vincere i quattro Major tutti nell’Era Open (Rod Laver li aveva vinti tutti e quattro nel 1969, ma non si trattava di “prime volte”) e il solo, prima di Rafael Nadal nel 2010, a completare il Golden Slam, abbinando ai quattro trofei più prestigiosi anche la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996. Ritiratosi nel 2006, Andre Agassi non ha solo vinto otto titoli dello Slam, ma è anche stato un’icona di stile, un personaggio controverso e forse anche il più umano dei grandi campioni del nostro sport.

La sua autobiografia, “Open – An Autobiography”, è uno dei più bei libri di sport mai scritti. Con la tecnica del “ghost-writing” si è raccontato senza filtri al giornalista e scrittore John Joseph Moehringer. Si è lasciato scoprire e si è scoperto fino in fondo, ha raccontato della durissima infanzia, dei conflitti interiori, degli errori e della maturità definitiva. Dopo l’uscita del libro, nel 2009, ha fatto discutere ancora una volta, ma oggi è amato da molti e rispettato da tutti per il coraggio mostrato nel raccontarsi. A 50 anni Agassi è un padre modello, ha avuto due figli dall’amata Steffi Graf. Nella vita ha capito di sentirsi bene soprattutto quando fa del bene per gli altri. Dalla seconda metà degli anni Novanta gestisce la Andre Agassi Foundation For Education, un impegno filantropico sempre più grande, che gli è valso anche il dottorato onorario dall’Università del Nevada a Las Vegas nel 2008.

“Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita…”

La citazione più celebre dal suo libro rappresenta cosa il tennis è stato per Andre Agassi, sin dall’infanzia. Il padre voleva a tutti i costi rendere i suoi figli dei campioni nello sport. Emanoul, che era stato pugile olimpionico tra 1948 e 1952 per il suo paese natale, l’Iran, aveva cambiato il suo nome in Mike una volta arrivato negli Stati Uniti. Amava il tennis per le sue perfette geometrie e di notte, dice il figlio più piccolo dei quattro, immaginava e disegnava partite sul soffitto della sua camera da letto. Né Rita, né Philly, né Tami riusciranno ad avere successo nel tennis. Andre, invece, è un predestinato, tanto che quando il padre progetta per lui la macchina spara-palline, ribattezzata il drago, lo costringe a colpire migliaia di palline al giorno. Il ragazzino sbaglia pochissimo, alle volte di proposito per riposarsi. Ma questo peggiora le cose perché Mike se ne accorge. Il suo talento è talmente grande che Nick Bollettieri, dopo averlo osservato per tre mesi, a 14 anni, nella sua accademia gli offre gratuitamente la permanenza, di un costo altrimenti inaccessibile per la famiglia. Una famiglia che, nonostante il padre ossessivo, manca tanto ad Andre, cresciuto in una casa nel deserto. Gli manca soprattutto Philly, il fratello che sarà sempre nel suo angolo, e che già gli profetizzava un futuro al fianco dell’attrice Brooke Shields, che dal 1997 al 1999 sarà la sua prima moglie. Non gli piace neanche la scuola privata a disposizione per tutti quelli della Academy e sviluppa così un comportamento sempre più ribelle, con l’intento di farsi espellere. Indossa jeans strappati e orecchini, a volte anche nei match (che vince ugualmente). Si tinge le unghie e la cresta da mohicano. Con questo look vincerà una finale importante, nonostante le ire di Nick Bollettieri, che vede infangato il buon nome della sua accademia. Ma quando hai tra le mani la prossima stella del tennis mondiale sei disposto a tutto per tenertela stretta. E così la battaglia la vince il ragazzino, a cui viene concesso di abbandonare la scuola per ottenere le prime wild card. In tal modo si riunirà anche col fratello Philly, che il padre manderà per stare al suo fianco. Il valore dell’istruzione lo scoprirà solo più tardi. Dalla sua fondazione nascerà infatti la Agassi Prep, scuola per tutti i ragazzi più in difficoltà nel Nevada.

Nel circuito esordirà a 16 anni, nel 1986. Il primo titolo arriverà però in Brasile nel 1987, al cui termine si assesterà incredibilmente alla posizione numero 25 Atp. L’anno successivo è quello della Top-10 grazie alle due semifinali Major al Roland Garros e allo Us Open. Lo studente ribelle è ora su tutti i giornali per il suo abbigliamento mai visto prima. Il rapporto conflittuale con lo sport della sua vita prosegue, e in un momento di sconforto racconta di aver donato tutte le sue racchette, dandosi anche un ultimatum per la carriera. Lui non lo sa, ma in realtà continua, lentamente, anche la sua ascesa. A Stratton Mountain, dopo la semifinale 1987 e il titolo dell’anno successivo, è già idolo della folla, e si sente a casa. Nel 1989 conosce, mentre la collaborazione con Bollettieri è sempre più difficile, Gil Reyes, che sarà la costante della sua vita e della sua carriera.

In Gil, da quel momento e per sempre il suo preparatore atletico, Agassi trova un mentore, un secondo padre, un fratello e un amico indispensabile per la sua vita. Il primo figlio della coppia Agassi-Graf, nato nel 2001, si chiamerà Jaden Gil. Ora peraltro, ha ottenuto un posto nella University of South Carolina, dove gioca a baseball. Gil cambierà radicalmente la preparazione di Agassi e i frutti si vedranno da subito nel 1990. Qui arriva un altro salto di qualità, ma nello stesso anno perderà le finali sia a Parigi che a New York. Quest’ultima proprio contro il giovane Pete Sampras, che solo pochi anni prima Agassi aveva quasi compatito, notandone a distanza molte lacune tecniche. Col Roland Garros, invece, sarà l’inizio di un rapporto difficilissimo. Grandi polemiche all’uscita del libro ci furono per l’epiteto, scherzoso ma anche un po’ offensivo con cui bersagliava gli specialisti del rosso, chiamandoli “ratti da fango”. La finale persa da favorito contro Andres Gomez lascerà il segno nella sua carriera. Nelle pagine precedenti la prima finale Major si scopre anche il segreto sui suoi capelli, una parrucca bionda tenuta da venti fermagli che l’americano temeva di perdere con una folata di vento sullo Chatrier di Parigi. Il trend negativo nelle finali Slam continuerà con la sconfitta anche nel 1991, questa volta contro Jim Courier.

Ad Agassi però non piace neanche l’erba, dove i rimbalzi sono troppo bassi e le ginocchia soffrono molto. Non gradisce quindi Wimbledon più di tanto, anche perché sono accettati solo vestiti e scarpe del tutto bianche. Dopo l’esordio londinese nel 1987, Agassi però si ripresenta più forte e maturo nel 1991. Sin da piccolo è dotato di una risposta di rovescio letale, che ora comincia a dare i suoi frutti anche nel Tempio del tennis. Per la consacrazione bisogna attendere l’anno successivo, dopo un torneo straordinario. Agassi vince in rimonta i primi due match, ma tra quarti e semifinale fa fuori niente di meno che Boris Becker e John McEnroe. La finale contro Goran Ivanisevic non è per deboli di cuore, ma questa è la volta di Agassi, che vince in cinque set il suo primo Grand Slam. Quando già si comincia a parlare di assalto alla vetta del ranking, però, a scombinare tutti i piani di Agassi arriva un fastidioso infortunio al polso che lo obbliga ad operarsi nel 1993. È l’ultimo anno con Bollettieri, ma regala davvero pochi sorrisi. Salta i primi due Major dell’anno e torna a Wimbledon da campione in carica. Ma il 1993 è l’inizio del dominio di “Pistol Pete”, che vince il titolo eliminando anche il rivale americano dei quarti, al quinto set.

Tra Wimbledon e Roland Garros va malissimo nel 1994. Agassi però cresce ancora piano piano: al suo fianco ora c’è Brad Gilbert, che gli insegna l’arte del “vincere sporco”. Il padre, sin da bambino gli aveva inculcato l’ossessiva ricerca del colpo perfetto e, soprattutto, il dovere di sapere affrontare e battere ogni avversario sul proprio colpo migliore. È Gilbert a rompere il tabù, a liberare Agassi dal vecchio fardello. Il 24enne di Las Vegas ci mette qualche mese, ma dopo Wimbledon è imbattibile e conquista Toronto e Parigi-Bercy, con in mezzo il 3-0 ai danni di Michael Stich, in finale a Flushing Meadows. In quei mesi la vita di Agassi sta cambiando per sempre. La relazione con Brooke Shields è sempre più solida e proprio lei riesce a liberarlo di un altro peso, la parrucca. Crollano le abitudini, ma il nome di Agassi è sempre più forte. In carriera, per un motivo mai ben precisato, non aveva mai giocato l’Australian Open. Ci va nel 1995 e con Gil e Gilbert scopre il suo posto felice. È sempre più costante e sicuro di sé, in finale a lui si arrenderà anche Sampras, costretto a cedergli anche il trono della classifica Atp. In Australia è il primo dei quattro titoli (gli altri tre nel 2000, 2001 e 2003), eppure lui si sente quasi vuoto. Lo chiama “illuminazione” quel pensiero che arriva il 27 marzo mentre passeggia per Palermo nel weekend di Coppa Davis. L’obiettivo, l’unico davvero rimastogli e quello che più brama è il Roland Garros.

Del conflitto interiore, però, Andre Agassi non ha ancora vissuto la parte più buia, che ha le radici in una sera del settembre del 1995, a New York. Ha appena perso la finale degli Us Open contro Pete Sampras, che ha interrotto una striscia di 26 vittorie, con quattro titoli consecutivi in giro per gli Stati Uniti. Per tutto il 1996, Agassi dice di portarsi gli strascichi della finale persa, ma in verità non se la cava affatto male. Vince ancora a Miami, a Cincinnati e, soprattutto, commuovendo anche il papà Mike, il torneo olimpico ad Atlanta. I problemi seri, iniziano quando, col matrimonio, Agassi perde completamente la bussola. Frequenta ambienti mondani e accusa un nuovo problema al polso. Nel ’97 giocherà solo 24 partite, affrontando anche il periodo più difficile della propria esistenza. Nell’autobiografia, racconta di aver mentito all’Atp in merito ad un test antidoping risultato positivo. In una serata di follia, lo statunitense ha confessato solo nel libro di aver assunto volontariamente della metanfetamina, ammettendo la colpa dopo più di un decennio. Nonostante le critiche di tutti i grandi campioni dello sport, Agassi non ha subito conseguenze per quella che rimane la più grande macchia della sua vita. Le ripercussioni più grandi, sono arrivate comunque in classifica, con la discesa al 141esimo posto Atp. Colto dal rimorso e col matrimonio oramai in crisi, Agassi è riuscito a ripartire col suo staff, a compattarsi con i più fedeli e a riconquistare il pubblico. Nel 1998 è tornato a vincere sei tornei, perdendo tre finali. Il recupero fino alla settima posizione del ranking rimane una delle imprese più incredibili nella storia del ranking Atp.

Le pagine più belle della sua vita, per come le illustra anche nel libro, sembrano essere quelle che riportano al 1999. Per Steffi Graf, il ragazzo del Nevada aveva sempre avuto un debole. E quanto anche i membri del suo staff siano riusciti a credere alla possibilità che il destino li unisse, rimane davvero un mistero. Così come misterioso è il disegno per la finale del Roland Garros, che lo mette di fronte ad Andrei Medvedev. Lo stesso ragazzo che, pochi mesi prima, si era rialzato dal momento di difficoltà grazie ai consigli spassionati di Agassi in una serata a Monte-Carlo. Il successo in rimonta in una delle finali più incredibili della storia, manda Agassi nell’Olimpo. Neanche il rivale Sampras ha completato il Career Grand Slam. Un qualcosa che per certi versi vale di più della finale dominata da “Pistol Pete” un mese dopo a Wimbledon. Prima degli altri tre successi a Melbourne, Agassi trova un altro acuto davanti al suo pubblico, allo Us Open, due mesi dopo Wimbledon.

Australian Open a parte, la parte finale della carriera pone l’accento sulla pianificazione del futuro con Graf e sulla lotta sempre più ardua contro il declino fisico. Senza l’esempio di Agassi, che una volta maturo ha spostato il ritiro sempre più in là servendosi del talento e dell’impegno quotidiano, ora i piani dei tennisti attuali sarebbero diversi. Senza le sue caratteristiche uniche nel gioco in top e nella risposta al servizio, oggi l’evoluzione del gioco avrebbe preso una strada differente. Dalla nascita, Agassi soffre di spondilolistesi, con una vertebra staccata dalle altre che tende a sporgere. Nonostante questo, però, il suo valore tennistico gli ha permesso di esserci ancora, un anno prima del ritiro, quando Nadal lo batteva in finale alla Rogers Cup e Roger Federer gli soffiava un ultimo Us Open. E di ritirarsi quattro anni dopo l’acerrimo rivale, quando già la finale del 2002 suonava d’addio per entrambi. È stato l’ultimo di un’intera generazione a mollare. Niente male per uno che odia il tennis.

Quello sport che lui paragona al pugilato praticato dal padre, ma anche alla vita. Ad una vita che non contiene secondi, minuti, ore, giorni, mesi e anni. Una vita che si svolge in dritto e rovescio, giochi, set, partite e tornei. Una vita in cui ha imparato commettendo errori. E ora da padre e filantropo bada a porvi rimedio.

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