“È proprio il momento in cui ti senti più stanco quello in cui devi dare il massimo, tutto quello che hai”. Con questa sua citazione che ha da sempre contraddistinto la sua carriera, divenendo per lui una sorta di biglietto da visita, si può presentare Alessandro Giannessi a chi non è troppo ferrato in materia. “Gianna”, così viene chiamato nel Tour, è infatti uno di quei tennisti tenaci, che ti fanno giocare tutte le volte un colpo in più e per batterli devi essere super preparato dal punto di vista fisico. Al di là dell’atteggiamento in campo, il classe ’90 di La Spezia ha dimostrato di avere uno spirito da combattente anche al di fuori del rettangolo di gioco: basti pensare a come è riuscito a riprendersi dopo tutti i gravi infortuni che ha subito, tornando ogni volta più forte e motivato di prima. Pur essendo ancora giovane, può tranquillamente essere considerato un veterano del circuito, avendo alle spalle una carriera lunga ed intensa, ricca di “up and down” e di traguardi significativi, che magari altri suoi colleghi raggiungono in età più avanzata. Non a caso il suo percorso di crescita e di maturazione ha avuto un andamento meno lineare rispetto a quello di tanti suoi coetanei visto che, nonostante fosse arrivato a ridosso dei primi 100 a 21 anni, è riuscito a compiere il grande salto solo la scorsa stagione quando ha festeggiato le 27 primavere.
In mezzo, tra queste due tappe cruciali del suo cammino, una sfilza di infortuni che da un lato lo hanno fortificato, dall’altro gli hanno impedito di scalare la classifica rapidamente. Così per un arco di tempo piuttosto ampio, che va dalla fine del 2012 all’inizio del 2016, è rimasto invischiato nei bassifondi del ranking, mancando l’appuntamento con la top 200. E’ tornato a riveder le stelle, per citare Dante, nel 2016 quando, dopo una serie di buoni risultati a livello Challenger, ha vissuto una settimana magica agli Us Open dove, partendo dalle qualificazioni, si è spinto fino al secondo turno del tabellone principale, arrendendosi solo al futuro vincitore Stan Wawrinka al termine di un match molto serrato. Poche settimane più tardi a Stettino è arrivata la prima affermazione a livello Challenger e nel 2017 è entrato finalmente in top 100, assestandosi in 84esima posizione a seguito della semifinale nel 250 di Umago. In questa stagione le cose sono andate meno bene ma, grazie alla recente vittoria nel prestigioso Challenger di Banja Luka, ha riconquistato punti e fiducia. Adesso è impegnato a Barcellona in un 50$k sulla terra e a breve comincerà la preparazione in vista del prossimo Australian Open.
Noi di Tennis Circus abbiamo avuto modo di ripercorrere la sua carriera in una lunga chiacchierata fatta qualche giorno fa, nella quale Alessandro si è aperto a noi, rispondendo con grande sincerità e disponibilità a tutte le domande che gli abbiamo posto.
“Ciao Alessandro, direi di partire dall’ultima partita che hai giocato. Hai perso 62 60 con Horansky nel primo turno del Challenger di Firenze. Una sconfitta sorprendente considerando il punteggio, tuttavia c’è da dire che il tuo match era il primo dopo la sospensione per pioggia e quindi non era in condizioni ottimali…”
“Si, come dicevi il terreno di gioco era ai limiti dell’impraticabilità, pertanto bisognava stare molto attenti a muoversi, per evitare di infortunarsi. Poi io sono un giocatore pesante, abituato a correre tanto, quindi devo fare ancora più attenzione. In questi casi o trovi subito il giusto feeling, come ha fatto il mio avversario, oppure tendi a lasciar andare la partita, lottando meno del solito.
“Qualche settimana prima però era arrivato un prezioso successo nel Challenger di Banja Luka, una boccata d’ossigeno per la tua classifica dopo una prima parte di stagione non semplice.”
“È stata davvero una vittoria fondamentale: ho ritrovato la fiducia di cui avevo bisogno e soprattutto sono risalito in classifica, garantendomi la possibilità di giocare le quali a Melbourne.”
“Il titolo conquistato in Bosnia è il secondo per te a livello Challenger ed è giunto anch’esso sulla terra rossa. Ciò nonostante il tuo miglior risultato in assoluto lo hai ottenuto sul cemento, a New York. Qual è dunque la tua superficie preferita?”
“Ovviamente sulla terra mi trovo meglio, essendo cresciuto lì. Comunque credo di poter far bene anche su cemento, soprattutto se all’aperto e in condizioni non troppo rapide. Negli anni poi sul veloce sono migliorato, come testimoniano i risultati ottenuti nelle ultime 2-3 stagioni.”
“Riavvolgendo il nastro, mi focalizzerei sulla tua formazione tennistica. Sei cresciuto a Tirrenia, nel centro tecnico federale, dove ti hanno seguito alcuni dei migliori allenatori nazionali. Ritieni che ti abbia giovato questa esperienza o invece faresti altre scelte potendo tornare indietro?”
“Tirrenia è stata una tappa importante del mio cammino. Inoltre, essendo vicino a casa mia, non dovevo stare troppo tempo lontano dalla mia famiglia e dai miei amici; e per un ragazzo adolescente questo è un vantaggio non di poco conto. Certo 10-15 anni fa le strutture non erano all’avanguardia come lo sono adesso, i ragazzi di oggi hanno più possibilità rispetto alla mia generazione. Però non posso lamentarmi perché Tirrenia mi ha dato tanto.”
“A proposito della generazione attuale, in Italia abbiamo diversi ragazzi promettenti che possono fare grandi cose in futuro. Tu ovviamente, avendoli sfidati o essendoti allenato con loro, li conosci perfettamente. Chi secondo te tra questi ha più potenziale e credi ci regalerà più soddisfazioni tra qualche anno?”
“Difficle dirlo, perché sono tutti veramente forti. Ad ora Berrettini sembrerebbe essere più pronto, ma anche i vari Quinzi, Baldi, Napolitano, Pellegrino potranno togliersi parecchie soddisfazioni nel giro di qualche anno.”
“Anche tu da giovane eri considerato un prospetto interessante e i tuoi risultati fino ai 21 anni sono stati davvero significativi, arrivando a sfiorare la top 100. Ciò nonostante per entrare nell’Elite del tennis hai dovuto attendere altri 6 anni. Hai qualche rimpianto per non esserci arrivato prima?
“È chiaro che speravo di arrivarci prima, però non ho particolari rimpianti, anche perché gli infortuni non sempre li puoi evitare. Qualche scelta l’avrò sicuramente sbagliata, tuttavia gli errori ti aiutano a crescere e solo così si può diventare un giocatore migliore.”
“Come detto, hai avuto un percorso di crescita piuttosto lungo e travagliato e sei entrato in top 100 con qualche anno di ritardo rispetto alle previsioni. Quando finalmente hai raggiunto il tuo obiettivo, ti sei sentito arrivato, quel traguardo ha rappresentato per te la chiusura di un cerchio oppure l’hai considerato solo come un punto di partenza?”
“La classifica a due cifre era l’obiettivo di una vita, quindi quando ce l’ho finalmente fatta ero al settimo cielo e probabilmente inconsciamente mi sono sentito un po’ appagato. Ritengo però che non ci si debba mai accontentare, quindi ovviamente speravo e spero tutt’ora di migliorarmi ancora. Sebbene quest’anno sia sceso un po’ nel ranking, credo di potercela fare a tornare a quei livelli, o almeno farò tutto il possibile per tornarci.
“Nella seconda parte del 2017, avendo la classifica per farlo, hai giocato prevalentemente nel circuito ATP. Le cose non sono andate benissimo, anche se bisogna dire che hai affrontato ottimi giocatori, oltretutto in condizioni per te poco favorevoli. Avendo sperimentato entrambi, secondo te c’è una differenza molto netta tra circuito maggiore e quello minore?
“È vero che ho faticato, ma non penso che ci sia tutta questa differenza, è solo una questione di abitudine. Magari nei Challenger hai partite un po’ più comode nei primi turni, mentre negli ATP si fa da subito sul serio. Mi auguro di poter giocare presto altri tornei del circuito maggiore per dimostrare di avere quel livello e per rivivere l’atmosfera che si respira in certi match, come quello con Wawrinka, fino ad ora la miglior partita della mia carriera.”
“Il 2018 è stato un anno di riforme. La più significativa ha riguardato la Coppa Davis, una competizione storica che hai vissuto in prima persona. Sei favorevole alle modifiche apportate e soprattutto saresti disponibile a giocarla anche a Novembre, accorciando di conseguenza le vacanze e la off season?
“Giocare a Novembre non è il massimo, ma non si può rifiutare una convocazione in Nazionale. L’esordio in Belgio contro De Loore, anche se l’incontro era inutile ai fini della qualificazione, me lo ricorderò per tutta la vita. Sarebbe meraviglioso poter indossare un’altra volta la maglia azzurra.”
“A proposito di Italia, ci sono due tuoi connazionali (Fognini e Cecchinato) che hanno vissuto una stagione straordinaria. Credi che Fabio sia l’uomo in grado di spezzare finalmente la maledizione italiana della top ten? Mentre l’ascesa di Marco può rappresentare un esempio per te e tutti quei ragazzi che frequentano il circuito Challenger?
“Fabio è un talento fuori dal comune, ha tutte le carte in regola per sfatare questo tabù. Mi auguro possa riuscirci perché è un grande amico e si merita il meglio. Quello che invece ha fatto Marco è semplicemente straordinario, sarebbe bello fare qualcosa di simile, anche se sarà dura. Il suo successo comunque non è casuale: le qualità non gli sono mai mancate, finalmente è riuscito a trovare la quadratura del cerchio.”
“Chiudiamo con la solita domanda di rito. Prossimi tornei e obiettivi?”
“Dopo Barcellona, farò un torneo sul veloce, devo ancora decidere quale. Poi inizierà la preparazione per il 2019, con l’obiettivo di risalire in classifica e avvicinare il best ranking.”.
Grazie mille per la disponibilità e in bocca al lupo per tutto!