Il riscatto di Troicki: dal purgatorio alla rinascita

“Mi sento decisamente affamato, voglio tornare più forte di prima. Non sono spaventato ma certo ho qualche dubbio, credo sia normale. Non gioco da un anno ed è davvero tanto tempo”. Dubbi legittimi quelli di Viktor Troicki, esternati durante un’intervista rilasciata a “Oktennis” lo scorso luglio, quando si apprestava a rientrare in campo dopo la squalifica inflittagli dall’Itf per aver saltato un controllo antidoping.

Una vicenda, quella che ha coinvolto il tennista serbo, che rimane a tinte fosche. Era il 15 aprile del 2013 e durante il torneo Master 1000 di Montecarlo Troicki fu sorteggiato per effettuare le analisi del caso. Dopo essersi sottoposto all’esame delle urine, Viktor chiese al doping control officer (DCO) del torneo monegasco, Elena Gorodilova, se fosse possibile posticipare il prelievo del sangue al giorno dopo a causa di un malessere fisico avvertito dal giocatore, unito alla sua paura degli aghi che avrebbe, a suo avviso, potuto peggiorare le sue condizioni. Gorodilova non poteva certo costringerlo a sostenere il prelievo, per cui liberò dall’impegno il serbo. Non prima però di consigliarli di scrivere una lettera all’Itf per giustificare l’accaduto ed evitare così eventuali provvedimenti disciplinari da parte della Federazione internazionale.

Da questo momento in poi le versioni dei fatti di Troicki e del medico Dco seguirono strade diverse. Victor infatti sostenne che Gordilova lo rassicurò sull’esito della vicenda, dicendogli che con la lettera avrebbe sicuramente evitato la squalifica. La dottoressa, dal canto suo, disse davanti ai giudici di non aver mai dato nessuna garanzia all’atleta, ma solo il consiglio di scrivere alla Federazione, non potendo obbligare il serbo all’esame. Troicki tornò il giorno seguente ed effettuò l’esame del sangue, dal quale non venne riscontrato nessun uso di sostanze dopanti. Tuttavia la frittata era già stata fatta. Da quel rifiuto infatti arrivò da parte dell’organismo internazionale la squalifica di 18 mesi per il giocatore. Una decisione mai accettata da Victor che decise di fare ricorso, sostenendo di essere stato penalizzato ingiustamente e definendosi “capro espiatorio”. Riuscì però solo a ottenere la riduzione della pena a 12 mesi.

Che sia stata un’ingiustizia e che Troicki sia stato vittima di incompetenze altrui, purtroppo, non potremo mai saperlo. Noi possiamo solo attenerci al regolamento e rispettare le sentenze, che fino a prova contraria rappresentano la verità giudiziaria di un accaduto. Ma al di là di una sentenza, che può essere condivisa o meno, sicuramente si può affermare che Troicki sia stato colpevole quantomeno di ingenuità. Il serbo sapeva benissimo che il regolamento prevede la squalifica nel caso in cui un atleta si rifiuti di effettuare gli esami antidoping. E ancor di più, sa che un esame fatto un giorno dopo potrebbe essere poco attendibile, in quanto esistono sostanze che possono essere smaltite dall’organismo anche nel giro di 8 ore.

Detto questo però, spezzando una lancia in favore di Viktor, c’è da evidenziare che il regolamento Itf sui test antidoping in alcuni punti è eccessivamente fumoso e interpretabile. La regola 2.3 del regolamento antidoping stabilisce infatti che un giocatore non può rifiutare di sottoporsi a un controllo, salvo “compelling justification”, vale a dire una giustificazione persuasiva. Il malessere di Troicki o la sua fobia degli aghi sono, dunque, una valida giustificazione? È chiaro che in casi come questo sta all’interpretazione del giudicante stabilire se una motivazione sia valida o meno. E quindi di oggettivo in questo comma del regolamento c’è ben poco. Un margine di discrezionalità che consente a Troicki di potersi definire capro espiatorio e di aggiungere anche che “se fosse capitato a uno dei primi 5 al mondo lo avrebbero protetto e gli avrebbero riservato un trattamento di favore”.

L’ingenuità e la leggerezza nel prendere la decisione di non fare l’esame sono costate care a Troicki. Ben più di quanto ha pagato il croato Cilic, squalificato anch’egli lo scorso anno ma per 4 mesi, perché trovato positivo a un controllo antidoping.

Ma tutto questo è ormai acqua passata e il serbo, amico di Djokovic che lo ha sostenuto e difeso durante il suo purgatorio, ora è pronto per tornare al posto che gli compete tra i primi della classe. Troicki prima della squalifica stava infatti attraversando il momento migliore della sua carriera, con la vittoria della Coppa Davis e la posizione n. 12 nel ranking mondiale. Al suo rientro era piombato oltre la 600esima posizione ed è stato costretto a giocare tornei Challenger, imponendosi a Como (battuto in finale Sorensen) e a Banja Lukae (sconfitto Ramos-Vinalos) e un Atp 250 grazie alla concessione della wild card da parte degli organizzatori a Gstaad, dove ha raggiunto i quarti di finale persi contro Verdasco.

Ma è a distanza di circa due mesi e mezzo che arrivano le prime conferme sul suo ritorno a certi livelli. A Shenzhen, infatti, il 28enne serbo è riuscito a imporsi a sorpresa sul favorito per la vittoria del torneo, lo spagnolo David Ferrer, conquistando anche qui i quarti di finale poi persi contro Giraldo.

Oggi Viktor è risalito fino alla posizione n.174. La strada per lui è ancora in salita, ma sembra comunque essere quella giusta. Forse non avrà ancora le certezze che aveva prima, ma l’esempio di Marin Cilic può dargli maggiore fiducia. Il croato dopo la squalifica è tornato più forte e solido di prima, riuscendo anche a vincere il suo primo Slam in carriera a Flushing Meadows. Per Troicki si tratta solo di recuperare il tempo perduto, passato ahilui tra un tribunale e l’altro.

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