L’erba di Wimbledon ha il potere di renderti eterno. A maggior ragione se ti permetti di rompere la tradizione e la tradizione ti ripaga trasformando il tuo gesto in una nuova tradizione. Fedele interprete del serve and volley, erbivoro come pochi, il Pirata con la bandana a scacchi trova nel torneo londinese del 1987 il magic moment dell’intera carriera, sollevando il più importante trofeo Atp dopo una cavalcata degna di un purosangue.
Ma quello non era che l’apice, insospettabilmente vicino al declino, di un percorso cominciato qualche anno prima sotto i migliori auspici. Il nativo di Melbourne, classe 1965 e nome da avventuriero, termina il 1982 come numero uno degli Juniores e campione proprio a Wimbledon e agli Us Open, non solo, ma sul finire di dicembre conquista anche il suo primo titolo ATP nel torneo di casa (impresa che ripeterà l’anno successivo).
La gloria del 1983 è legata soprattutto al trionfo in coppa Davis da protagonista, con l’emozione impagabile di mettere a segno il punto decisivo, battendo Nystrom in singolare. Nel 1984 Pat raggiunge due semifinali di prestigio, a Londra deve inchinarsi a John McEnroe, mentre è Ivan Lendl a negargli l’atto conclusivo degli Us Open in una partita memorabile in cui l’australiano arriva persino a matchpoint prima di arrendersi al tiebreak del quinto set.
Le due stagioni successive, prive di acuti, trovano riscatto nella coppa Davis dell’86. In finale c’è di nuovo la Svezia e questa volta Pat è presente in tutti e tre i match che valgono l’insalatiera. E così siamo giunti al glorioso 1987. Gli Australian Open si svolgono a gennaio, per l’ultima volta sull’erba. Il nostro eroe gioca un torneo spettacolare, fa fuori Yannick Noah nei quarti e Ivan Lendl in semifinale, ma è poi costretto a capitolare in cinque set al cospetto di Stefan Edberg, che si prende una rivincita dopo la Davis. Ma è solo l’antipasto, perché il bello deve ancora venire, precisamente all’inizio dell’estate, sui campi dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club.
Sull’erba sacra il Pirata mette in scena uno spettacolo perfetto, lasciando per strada soltanto un set al terzo turno. Elimina Guy Forget negli ottavi, si sbarazza senza troppi riguardi di Mats Wilander (6-3, 7-5, 6-4) nei quarti e scherza con Jimmy Connors in semifinale (6-4, 6-4, 6-1). In finale lo attende Ivan Lendl, fresco campione al Roland Garros e numero due del ranking, ma non c’è storia: un altro incontro in tre set consegna i Championship a Pat Cash. In quel momento il Pirata compie il gesto dissacrante che sarà per sempre ricordato e più volte imitato: si arrampica verso le tribune per correre ad abbracciare e suoi cari e a festeggiare con loro.
Nella stagione successiva Pat raggiunge nuovamente la finale nello Slam di casa, questa volta sul cemento, ma perde 8-6 al quinto con Mats Wilander al termine di una lotta senza quartiere. Gli ottavi al Roland Garros gli valgono il best ranking al numero 4 della classifica (con ventitré anni ancora da compiere), ma da quel momento in avanti un calvario di infortuni funesta la sua carriera in singolare.
Schiena, tendine d’Achille, ginocchia: sembra una persecuzione per il turbolento australiano che non riesce a mettere insieme una bacheca degna delle premesse, ma vince soltanto un altro torneo a Hong Kong nel 1990, oltre a togliersi qualche soddisfazione nel doppio. Oggi il suo nome, per fortuna inciso per sempre nell’albo d’oro del torneo più famoso del mondo, ha il fascino della leggenda e simboleggia un tennis d’altri tempi, romantico e privo di compromessi.