Taylor Townsend, croce e delizia del futuro tennis americano

Si è fermata al secondo turno, per mano della testa di serie n. 1 Caroline Wozniacki, il cammino nel torneo di Auckland della stellina nascente del tennis americano Taylor Townsend.

Prima di arrendersi alla più blasonata danese, Taylor le ha dato decisamente del filo da torcere; a vederle giocare, ti sembrava di assistere ad un gioco di antitesi: da un lato, la perfetta esemplificazione della tennista di copertina (bionda, allenatissima, fisico scultoreo), dall’altro una, decisamente più corpulenta e fuori dal comune.

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Per chi di voi non l’avesse mai vista all’opera,  vi consigliamo di non fermarvi alle apparenze: vederla giocare, per i cultori di questo sport, è decisamente un piacere. Il suo tennis d’altri tempi, fatto di continue variazioni, e di quel caro vecchio serve&volley, ormai quasi del tutto estinto, vi permetterà di fare un tuffo nel passato; questa giovane, fidatevi di noi, merita tutta la vostra attenzione.

Taylor è sicuramente la più promettente tra le tenniste in erba; spesso il suo nome, per assonanza fisica e perché entrambe di origine afroamericane, è stato associato a quello di Serena Williams. Forse per la prima volta (ormai da anni i paragoni tra tenniste americane emergenti più o meno talentuose e la numero uno del mondo si sprecano), quest’assonanza non è un’esagerazione. Noi di Tennis Circus siamo pronti a scommettere che il 2015 sarà un anno davvero speciale per lei; l’anno della consacrazione o, se preferite, quello in cui finalmente si smetterà di parlare del suo fisico e s’inizierà a parlare, com’è giusto che sia, solo ed esclusivamente del suo talento.

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Taylor Townsend
nata a Chicago il 16 aprile del 1996, alta 168 cm per 80 chili (fino a pochi anni fa di chili ne pesava 100), non è sicuramente una ragazza che passa inosservata. A questo sport si è avvicinata per volere di mamma Sheila, a sua volta ex tennista alla Lincoln University, e oggi una tra le sue più grandi sostenitrici.

Se si vuole tracciare un quadro realistico e più puntuale possibile sulla vita di questa tennista non si può prescindere dal parlare della madre: il contributo di quest’ultima infatti è stato a dir poco fondamentale per la carriera della figlia. Sheila non solo le ha trasmesso l’amore per questo sport, ma è andata addirittura oltre: ad esempio, nonostante le gravi ristrettezze economiche si è fatta letteralmente in quattro per permettere alle proprie figlie (già avete capito bene abbiamo detto figlie, perché a quanto pare, potevamo trovarci di fronte ad un Williams sisters 2.0; Taylor ha infatti una sorella che a tennis era addirittura più forte di lei e che è stata bloccata solo da un brutto infortunio) di essere allenate da Donald Young prima e di farla accettare alla Usta Training Center di Boca Ratons poi.

Sin da piccolissima sono stati in molti ad accorgersi del suo talento. In questo caso, basti citare le dichiarazioni di un certo Richard Williams, che dopo averla vista all’opera affermò: “Fra un paio d’anni ne batterà tante. Alla sua età, Venus e Serena non erano così forti. Taylor ha un gioco più vario”.  Come si dice, detto, fatto: di lì a qualche mese, a 16 anni appena compiuti, diventa numero uno del mondo nella categoria junior e conquista il titolo agli Australian Open, sia in singolare che in doppio; mesi più tardi ripete la vittoria in doppio agli Us Open, mentre l’anno seguente (parliamo del 2013) a Wimbledon si arrende alla pupilla di mamma Hingis, la svizzera Belinda Bencic, solo in finale.

Per quanto riguarda il circuito maggiore, Taylor lo scorso anno, al Roland Garros, si è ufficialmente presentata al grande pubblico, e lo ha fatto nel migliore dei modi: alla prima partecipazione ad uno Slam della sua carriera, dopo aver battuto Vania King, ha eliminato la padrona di casa Alizé Cornet (in questo caso letteralmente zittendo il pubblico del Suzanne Lenglen), spingendosi fino al terzo turno. Le peculiarità di Taylor sono tante: si va dal suo ripassare le tattiche, sfogliando un taccuino, nel bel mezzo dei cambi di campo, fino ad arrivare ai balletti post-vittoria che ogni tanto ci regala.

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Detto ciò, veniamo al punto dolente, ovvero il motivo per cui questa giovane tennista, ahinoi, è diventata famosa: ci riferiamo a quella brutta storia di discriminazione di cui, qualche anno fa, si è resa protagonista l’USTA (Federazione dei tennisti americani). Prima di arrivare alle nostre considerazioni a riguardo, per chi non lo ricordasse, riepiloghiamo brevemente l’accaduto.

Siamo nell’ottobre del 2012, quando il Wall Street Journal rende nota una vicenda che divide letteralmente la popolazione americana, e non solo. In pratica l’USTA in occasione degli Us Open Juniores, aveva informato la ragazza di non aver intenzione di finanziare le sue spese di viaggio e di iscrizione a questo torneo, né ad altri fino a che non fosse riuscita a dimagrire.

Quello che lascia sgomenti, non è la decisione in sé, bensì ciò che l’ha generata: a convincerli non è stato il fatto che la ragazza non fosse sufficientemente brava (allora era n. 1 di categoria), o volenterosa, bensì che non rispondesse ai canoni estetici richiesti. A questo punto, ancora una volta per risolvere la situazione, è intervenuta mamma Sheila, che ha deciso di pagare di tasca propria tutte le spese, consentendo alla figlia di arrivare fino ai quarti di finale, e di informare l’opinione pubblica dell’accaduto attraverso i media. Giusto per completare il quadro, aggiungiamo che Taylor ha poi dichiarato che in seguito, per mesi, i suoi allenatori l’hanno costretta esclusivamente ad allenamenti dimagranti, limitando al minimo gli allenamenti di tennis.

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Da Serena Williams a Martina Navratilova, sono stati in molti ad intervenire a sua difesa, tanto da convincere la Usta a tornare sui suoi passi e a scusarsi per il malinteso: a motivarli, a detta loro, c’era solo il bene della ragazza.

A questo punto, finalmente, diciamo la nostra, caro Patrick McEnroe (presidente dell’Usta): sappi che non c’è nessuna motivazione al mondo che possa giustificare una discriminazione, perché di discriminazione si tratta, ed una violenza simile. In una società come la nostra, in cui il consumismo e il culto del fisico perfetto ogni giorno spingono milioni di ragazzine a problemi alimentari, dire ad una ragazza di sedici anni che deve rinunciare al proprio sogno, non perché non sia brava bensì perché troppo grassa, dovrebbe essere considerato un reato alla persona.

A noi, personalmente, sentire una ragazzina dichiarare: “E’ stato sicuramente scioccante. Ero davvero molto turbata. Ho pianto. In realtà ero devastata. Voglio dire, ho lavorato veramente duro, si sa, non è per miracolo che sono riuscita a diventare numero uno”, non lascia indifferenti. Il problema dunque è che Taylor non risponde ai requisiti fisici richiesti, non è abbastanza filiforme, su di lei i mini-completini da tennis non fanno la stessa figura, non attirano lo stesso numero di “espertoni” di tennis o di sponsor.

Poco conta, a questo punto, che la ragazza con la racchetta in mano ci sappia davvero fare; in nome del guadagno meglio avere tennisti mediocri ma con un fisico e un viso da fotomodelli. Ma parliamoci chiaro, non è per lo stesso motivo che Maria Sharapova, pur avendo vinto molto meno di Serena Williams, ogni anno guadagni in sponsor quasi il doppio di quest’ultima? E con ciò badate bene non vogliamo far discriminazione al contrario, vogliamo solo dire che un tennista dovrebbe essere giudicato solo per come gioca, che sia bello o brutto, bianco o nero, magro o grasso poco dovrebbe contare.

In chiusura, nella speranza di non dover tornare mai più sull’accaduto, auguriamo un’enorme in bocca al lupo a questa ragazza e facciamo nostre le parole con cui la numero 1 del mondo ha commentato l’episodio: “Se è andata così è davvero una tragedia, perché chiunque merita di giocare. Per una donna, in particolare negli Stati Uniti, in particolare per un’afroamericana, non ha senso avere a che fare con cose simili. Le atlete hanno forme, taglie e colori della pelle diversi”.

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