Il business nel mondo degli allenatori

I continui cambi di coach fanno sempre più discutere: qual è il vero ruolo dell'allenatore per un giocatore? Parlano Sven Groenefeld e Kamau Murray.

Gli anni passano, il tennis cambia e non solo dal punto di vista tecnico. Uno dei punti che più fa discutere è la figura del coach. In passato la funzione del coach era semplicemente quella di allenare, senza ricevere troppe attenzioni dai media. Niente interviste, niente social media, niente opinioni sul web da parte dei tifosi. Oggi, invece, dietro ad un giocatore c’è sempre l’allenatore. I giornalisti indagano, vogliono sapere il più possibile sul loro rapporto, spesso esagerando come durante l’ultima edizione degli US Open.
I coach, dopo la fine del match della loro allieva, erano tenuti a partecipare ad una conferenza stampa dedicata interamente a loro. Fino a qui, niente di scandaloso anche secondo Kamau Murray, coach “in pausa” di Sloane Stephens: “Il fatto che anche i coaching abbiano più visibilità è un bene per tutti e soprattutto per il nostro sport, ma noi coach dobbiamo essere sicuri di ricoprire il ruolo giusto per i nostri giocatori.” 

È proprio qui che nasce il problema. Qual è il ruolo degli allenatori per i giocatori? C’è un rapporto personale o è solo un rapporto lavorativo?
Allenatori come Wim Fissette e Sam Sumyk sono abituati a cambiare giocatrice praticamente ogni anno, e si tratta quasi sempre di top player: Kerber, Azarenka, Muguruza, Konta e altre ancora.
Per Sven Groeneveld, ex coach di Caroline Wozniacki e Maria Sharapova, tutto parte dall’aumento del prize money nei tornei: “L’aumento del montepremi permette ai giocatori di avere un team molto più ampio, quindi se perdono un coach hanno comunque l’aiuto di altre persone. Inoltre, con tanti ex giocatori che diventano coach, i giocatori hanno più possibilità di scelta.”

Cosa spinge una top player a cambiare allenatore così frequentemente? Kamau Murray: “Le motivazioni sono tante, e non sempre vengono svelate al pubblico. Spesso ‘il capo’ è un ventenne che ha autorità assoluta.” 
In alcuni casi, però, la separazione è d’obbligo: “Se un giocatore sente che il coach non va bene o le cose non vanno più come prima, può decidere in maniera matura di dire basta. Non ci sono impedimenti.”

Kamau Murray, coach di Sloane Stephens

Nell’ultimo anno, una delle relazioni più fruttuose è stata quella tra Naomi Osaka e Sascha Bajin, ex coach e sparring partner di Serena Williams e Vika Azarenka. La loro collaborazione sembra abbastanza tranquillo, entrambi sono due grandi professionisti e sono anche riusciti anche ad instaurare un bel rapporto personale. In alcuni casi, però, la giapponese non riesce ad aprirsi del tutto con Bajin: “A volte le chiedo “come stai?”, lei mi risponde “tutto bene”,  ma dopo il match parla in maniera più dettagliata con i giornalisti in conferenza stampa che con me.”

In questo caso si tratta di una particolarità della Osaka, molto timida e tutt’altro che estroversa, ma ci sono anche situazioni diverse che Groeneveld ha raccontato: “Mi ricordo di volte in cui i coach rilasciavano interviste causando tensioni tra loro e i giocatori, ma oggi ci sono tanti mezzi che possono complicare la relazione.”
Lo stesso pensiero è condiviso da Murray: “Commentare una foto o un articolo è molto facile e probabilmente il giocatore lo leggerà. Qualcuno commenterà sul rapporto con il coach, altri esagereranno dopo una sconfitta. A 21 o 22 anni, i giocatori non riescono a far finta di niente anche se dicono di riuscirsi. Questo può essere distruttivo, perché invece di ascoltare solo due o tre persone ne ascolti duecentro o trecento.
La WTA è un teatro a cielo aperto, ma i coach dovrebbero essere una parte invisibile dello spettacolo. Agli US Open eravamo di troppo.” 

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