Stan Wawrinka “La mia unica soluzione era soffrire”

Stan Wawrinka in un'intervista al quotidiano svizzero "Dimanche Matin" ha scritto una lettera aperta in cui spiega le sensazioni le emozioni che lo hanno accompagnato e paralizzato durante la finale US Open che lo ha consacrato "grande fra i grandi"

IL TENNIS E’ MAGIA – Stan Wawrinka, svizzero di Losanna, di origini ceche con passaporto tedesco ha vinto tre finali Slam su tre. Dopo Melbourne, in cui aveva sconfitto ai quarti proprio Djokovic per poi aggiudicarsi la finale e battere un Nadal dolorante, aveva poi centrato il bersaglio a Parigi contro il pluri-titolato serbo e questa volta con una certa autorevolezza, pantaloncini a parte, infine pochi giorni fa salvando un match point al primo turno e superando sul suo cammino un Juan Martin Del Potro ritrovato, Kei Nishikori in semifinale e poi  Nole in finale si è aggiudicato il terzo Slam in carriera.

IL TENNIS E’ POESIA – Uno Stan capace di magie, uno Stan dal dritto secondo in potenza solo a quello di Del Potro e dal rovescio pazzesco che fa rimpiangere ai giovani il rovescio a una mano, ma un ragazzo timido, che da sempre è considerato lo svizzero n°2 perché non portatore sano di eleganza e comunicazione come Roger Federer, un “brutto anatroccolo” che forse per mancanza di fiducia in se stesso non sempre ha avuto la continuità che ci vorrebbe e che fino a ieri lo ha relegato a un ruolo di “comprimario”.

IL TENNIS E’ INDOMITA PASSIONE, OSSESSIONE – “Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio” La passione, anche se ben nascosta dietro una facciata di normalità , è il motore che muove lo svizzero di lingua francese, che gli fa spaccare racchette e continuare indefesso il suo percorso tennistico nonostante a volte non ci si accorga di lui. E la passione lo ha portato in quell’Olimpo che il trentunenne ha sempre faticato a guardare. Oggi è saldamente issato al numero 3 del ranking ed è  il più anziano vincitore Slam dopo Ken Rosenwall nel 1970. Si è guadagnato inoltre la nomea di anti-Djokovic, visto che è l’unico del circuito a mettere seriamente in difficoltà il n°1 del mondo. Oggi Stan-the-man va ritenuto un vero campione. Chi ha questi risultati lo è.

IL TENNIS E’ SOFFERENZA – Eppure proprio tutta questa passione può portarti a subire a volte forti pressioni. Capita che, quando giocando quasi in trance agonistica e sempre meglio partita dopo partita ti trovi in finale in uno Slam quasi ti gira la testa. Tutto quello che avevi voluto finalmente è a portata di mano e senti che devi cogliere la tua occasione, l’occasione che ti consacrerà grande fra i grandi.

Con la sua estrema umanità Stan Wawrinka non ha avuto vergogna di condividere sul quotidiano svizzero “Matin Dimanche” i sentimenti contrastanti che hanno accompagnato la sua terza finale Slam. Chi gioca e chi ama tennis non può che essere rapito da questa lettera che racconta di emozioni e di sensazioni forti. Come un Highlander, Stan ha dovuto superare le sue paure, ritrovare la concentrazione e il coraggio che sono propri di un campione e palla dopo palla conquistarsi un pezzettino di immortalità.

 

“Molte persone mi hanno chiesto come ho fatto a scendere in campo, con apparente nonchalance, quando cinque minuti prima avevo avuto un attacco di panico e ho provato a trattenere le lacrime (ci ho provato, senza essere in grado). Era già felice del fatto che nessuno avesse notato i miei occhi arrossati. Con 23.000 spettatori e telecamere ovunque, non era scontato. Ma ho dovuto nascondere la mia condizione. Avevo comunque la testa piena perché, come ho detto in conferenza stampa, ero vicino al punto di rottura, il momento in cui lasci andare tutto, sia fisicamente che mentalmente. Sentivo davvero di essere al limite. Forse a causa del caldo, tutti pensavano che io stessi sudando.

Insomma, come ho fatto? Ve lo dirò: mi sono colpito da solo. Ho provato ad allungare gli scambi il più possibile, un colpo in più, e poi un altro, per far girare le gambe e non la testa. Mi sono sforzato fino al punto da rimanere senza respiro. Passato quel punto, la mente non è più troppo capace di pensare. Ogni energia e concentrazione è stata presa dal gioco, dal presente e dal momento successivo.

Ma lo devo ammettere: nel corso di tutto il primo set mi sono spesso domandato come avrei fatto ad tenere duro. Quando sono nervoso in quel modo, la fatica si sente molto, molto di più! E le mie gambe stavano soffrendo molto. Ho anche esclamato verso il mio box: “Non posso farlo, sono morto, le mie gambe sono andate”.

Mi ero fatto così male, avevo spinto così duramente, avevo talmente perso il respiro che ho finito per soffocare le piccole voci che avevo in testa. Vi sto dicendo questo con il sorriso, oggi, ma non potete immaginare quanto quelle voci a volte possano essere travolgenti…avvolto dalla fatica, non stavo più pensando a niente e ho iniziato a giocare bene, a lasciare andare i colpi con il rovescio e il servizio.

Adesso devo lasciar rilassare la macchina per un po’. Ci sono anche gli effetti.

Quando vinci un torneo del Grande Slam, raggiungi un insano livello di emozioni, entri in un altro “stato” (è difficile da esprimere a parole, scusatemi), ed è qualcosa di complicato da cui recuperare, raccogliere te stesso e tornare a casa, o a un primo turno da qualche parte, come se tu fossi tornato da un seminario. E’ troppo estremo…

Dicono spesso così: “Non ho ancora capito”. Io penso di aver capito, ho davvero avuto questa impressione, ma questo non significa che la mia piccola voce interiore non abbia altre domande da pormi. Forse avrete visto che mi sono cancellato dall’ATP 500 di Tokyo. Alcuni fastidi e dolori sono tornati e devono essere curati. Non possiamo sempre spingerci a soffrire. Perché, sia chiaro: dopo questo articolo, non andrete dicendo che sono un masochista, giusto?”

 

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