Contro la bellezza II. Il fascino dell’intelligenza

Alcune ulteriori riflessioni, a partire da una suggestiva teoria scientifica, sul concetto di bellezza nel tennis e sul suo presunto opposto: l'intelligenza

Nel precedente articolo ci siamo interrogati sul concetto di bellezza nel tennis prendendo ad esempio la rivalità Federer-Nadal, probabilmente una delle tre rivalità più significative della storia del tennis. Abbiamo avanzato l’ipotesi che il concetto tradizionale di bellezza, quello fondato principalmente sull’estetica dell’eleganza, andrebbe rivisto alla luce di altre due componenti fondamentali per vincere: l’intelligenza e l’atletismo. Abbiamo anche detto che Nadal e Djokovic incarnano, per così dire, questo secondo modello di bellezza.

Proviamo allora a pòrci, adesso, un’ulteriore domanda: di cosa parliamo quando riguardo al tennis parliamo di intelligenza? Permetteteci una piccola digressione di carattere “scientifico”. Alexander Wissner-Gross, ricercatore di Harvard e al MIT, ha recentemente proposto di considerare l’intelligenza come «una forza che agisce per massimizzare la futura libertà di azione». Che cosa significa? L’idea di base è che l’intelligenza non vada modellizzata a partire dal nostro punto di vista antropocentrico, come pensavano i pionieri dell’informatica che volevano insegnare ad un computer a “pensare”, ma vada invece descritta a partire dalla “natura fisica” dell’intelligenza stessa. Se osserviamo i fenomeni naturali, infatti, ci accorgiamo, secondo Wissner-Gross, che una grande varietà di sistemi fisici, dalle galassie agli stormi di uccelli ad esempio, tendono a produrre entropia, ovvero disordine, ma solo fino ad un certo momento nel tempo, quando da questo disordine emerge un ordine che è tanto più stabile ed adattabile al cambiamento di condizioni quanto più si è garantito una molteplicità di scenari futuri. È questo passaggio dal disordine all’ordine “dinamico” che Wissner-Gross chiama comportamento intelligente, e sulla base del quale ha progettato un sofware, Entropica, che sfruttando questo unico proncipio trova applicazioni in ambiti diversissimi come ad esempio l’ingegneria biomedica, la finanza, i trasporti, etc. (per chi fosse interessato ad approfondire rimandiamo al seguente link)

La teoria di Wissner-Gross quindi ci dice che «una varietà di comportamenti cognitivi tipici dell’intelligenza umana, come l’uso di strumenti, camminare eretti e la cooperazione derivano tutti da una singola equazione che guida un sistema per massimizzare la futura libertà di azione». Se analizziamo quello che succede durante una partita di tennis, la definizione di intelligenza appena presentata ci sembra particolarmente calzante. Immaginiamo per un attimo di non conoscere le regole del tennis e di assistere ad una serie di scambi. All’inizio tutto ci sembrerebbe disordinato, avremmo la sensazione che succedano tante cose diverse per nulla coerenti tra loro; ma poco a poco ci accorgeremmo che al disordine è sotteso un ordine complesso finalizzato ad un obiettivo: conquistare il punto. Continuando a guardare ci accorgeremmo anche di altri due fenomeni. Innanzitutto, che vi sono molti modi di fare punto; e poi che è più conveniente usare questi molti modi piuttosto che un modo solo, anche se ciò risulta più difficile da attuare. È suggestivo pensare ad uno scambio tennistico come ad un sistema fisico che genera entropia fino al punto in cui uno dei due giocatori massimizza la propria libertà di azione, e si mette quindi in condizione di conquistare il punto. Secondo Wissner-Gross, nel momento in cui ciò avviene il sistema-scambio di tennis si sta comportando in modo intelligente, poiché sta “cognitivamente” raggiungendo un obiettivo: il punto.

L’analogia ha naturalmente dei limiti, ma può essere interessante provare a leggere una partita di tennis da questa prospettiva “sistemica”, piuttosto che con le tradizionali categorie sportive, le quali ripongono tutta l’attenzione sul singolo giocatore. Visto come parte del sistema-scambio tennistico osserveremo quindi un giocatore beneficiare progressivamente della massimizzazione della futura libertà di azione, fino al momento in cui egli si approprierà di tale libertà, trasformandola in punto attraverso una gamma sempre diversa, ma ricorrente, di soluzioni tecniche: un lungo linea dopo uno scambio in diagonale, oppure un contropiede, o ancora soluzioni più spettacolari come una palla corta o una discesa a rete. Anche l’avversario naturalmente si comporta allo stesso modo, e ogni scambio diventa quindi una aumento complessivo dell’entropia del sistema, che però ad un certo punto privilegia uno dei due giocatori.

Cogliere quel momento cruciale in cui l’iniziativa individuale è in grado di massimizzare gli scenari futuri in proprio favore piuttosto che del proprio avversario sarà allora ciò che chiamiamo intelligenza tennistica. All’appassionato di tennis non sarà sfuggito che spesso tali momenti coincidono con una palla break, e che la capacità di realizzarla viene considerata, anche dal senso comune, un grande segno di intelligenza. Sempre all’appassionato non sarà sfuggito nemmeno il fatto che i giocatori considerati più forti nei momenti cruciali, ad esempio Nadal e Djokovic, sembrano possedere tale dote più di tutti gli altri. Se riflettiamo ci renderemo anche conto di come questa dote non sia una sorta di talento innato e di intuito soprannaturale, ma discenda logicamente dal loro stile di gioco, ovvero uno stile costruito scientemente per, appunto, massimizzare la libertà di azione al momento opportuno. Una fitta rete regolare di scambi prolungati, variazioni, cambi di ritmo, tutti amalgamati in un piano di gioco che lentamente ma costantemente converge, colpo dopo colpo, scambio dopo scambio, verso tale o tal altro momento cruciale. Poi arriva la tecnica individuale: l’accelerazione mancina di Rafa, il lungo linea di rovescio di Nole. Ma solo allora, ed è una differenza cruciale.

Il dibattito sull’utilità dei cosiddetti “big data” (e di tutti gli altri strumenti di analisi statistica e video) nel tennis crediamo assuma senso soltanto se inserito all’interno di questo tipo di contesto. È fin troppo ovvio che non si vince solo con la statistica, ma è altrettanto evidente come il tennis non sia un gioco di pura creatività individuale. Per risultare decisiva, infatti, quest’ultima deve manifestarsi al momento opportuno, e la conoscenza delle caratteristiche e delle scelte più probabili del nostro avversario ci aiuta notevolmente a capire cosa fare per “indurre” quel momento all’interno di uno scambio. A volte la strategia potrebbe essere semplicemente continuare a tirare sul rovescio dell’avversario, ma altre volte potrebbe essere necessario forzare gli schemi tradizionali e andare contro il proprio istinto, ad esempio imponendosi di scendere a rete anche quando apparentemente non ci sono molte probabilità di successo. In quel momento, infatti, stiamo “lavorando” per massimizzare la nostra futura libertà di azione, e se anche saremo infilati da un passante intangibile, sappiamo che molto, ma molto probabilmente quando la stessa situazione si presenterà con palla break a nostro favore, e l’avversario preoccupato della nostra ennesima discesa, potremo starcene a fondo ad aspettare che sbagli, invece di prenderci un rischio eccessivo attacando in un frangente così delicato. Visto da fuori sembrerà un errore gratuito commesso nel momento meno opportuno, ma visto alla luce del sistema-partita sappiamo invece essere il risultato della nostra strategia volta a far convergere l’entropia a nostro favore. Il che equivale a dire che quella palla break si era già realizzata statisticamente attraverso le discese a rete precedenti, anche se non tutte erano state positive.

Se farci sedurre è il motivo per cui guardiamo il tennis, dobbiamo solo decidere, allora, se dal fascino della bellezza o da quello dell’intelligenza

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