Le dodici “fatiche” di Rafael Nadal

Tra tennis e mito si delinea il ritratto di Rafael Nadal, unico nella storia a vincere il Roland Garros - e lo Slam in generale - per ben 12 volte. Una carriera lunghissima e piena di vittorie e risalite, che lo rendono uno dei più grandi sportivi di sempre. Di Donato Marrese.

Nella mitologia greca gli Déi principali dell’Olimpo sono dodici. Dodici sono anche le fatiche di Ercole, nonché il numero dei Titani. Dodici sono anche i Paladini di Carlo Magno e Dodici i Cavalieri della tavola rotonda alla corte di re Artù. Così come dodici sono i titoli di Rafael Nadal al Rolland Garros. Ossia 12 dei suoi 18 Slam, Nadal li ha vinti a Parigi. Per meglio chiarire questo dato, 12 degli ultimi 15 Roland Garros a partire dal 2005 sono stati vinti dal tennista iberico, capace di impersonare le qualità del più forte tennista su terra battuta nella storia di questo sport.

Solo due  giocatori sono stati in grado di batterlo su terra francese: Robin Soderling agli ottavi di finale del Roland Garros del 2009 (considerata da molti forse la sconfitta più clamorosa nella storia del tennis) e Novak Djokovic nel 2015. Nell’edizione del 2016 era stato costretto ad un walkover a causa dei soliti problemi fisici che lo hanno afflitto nel corso della sua carriera. C’è anche da dire che anche nelle due uniche sconfitte, lo spagnolo non fosse nelle migliori condizioni fisiche, anche se questi discorsi sono fuori luogo (quanti Master 1000 avrebbe vinto Roger Federer se almeno un Master si fosse giocato sull’erba? Oppure quanti Slam avrebbero giocatori del calibro di Borg o McEnroe se, a quei tempi, l’Australian Open fosse stato un torneo più accreditato e soprattutto meno distante?).

È sufficiente guardare il dato statistico: 93 vittorie e 2 sole sconfitte dello spagnolo. Nessun tennista aveva vinto 12 volte uno stesso Slam (superato il record di Margareth Court di 11 Slam vinti in Australia a cavallo tra gli anni ’60 e ’70). Negli anni ’80 erano considerate clamorose e irraggiungibili le 6 vittorie a Parigi di Bjorn Borg, ma Nadal è riuscito addirittura a raddoppiare questo record. Ma non finisce qui: non possono non essere considerate le 11 vittorie a Montecarlo e Barcellona, le 9 vittorie a Roma, i 5 successi a Madrid/Amburgo (quando era ancora considerato un Master Series). Delle sue 82 vittorie ATP, 59 sono giunte sulla terra. Statistica che indica la sua ineluttabile attitudine a questa superficie. Ancora non basta: l’iberico, allo stesso modo del suo rivale svizzero Federer, è riuscito ad attraversare indenne almeno 3 generazioni di giocatori: da Costa, Moja, Gaudio, Coria, Puerta, Ferrer fino a Federer, Djokovic e Thiem.

Sì, Dominic Thiem, ultima vittima del cannibale spagnolo. Match durato poco più di 3 ore di gioco con il punteggio di 6-3, 5-7, 6-1, 6-1. È stato un remake della finale dell’anno precedente, dove il match era stato meno tirato rispetto ad oggi: 6-4, 6-3, 6-2, tre set netti, dove Dominic aveva pagato l’emozione della prima finale Slam. Oggi non è stato come l’anno scorso, ma l’impressione è sempre stata quella di un match sotto il controllo dello spagnolo, soprattutto negli ultimi due set. C’è da dire che Thiem ha sicuramente pagato il fatto di aver giocato negli ultimi quattro giorni consecutivamente, ma soprattutto hanno inciso i due giorni di semifinale contro Novak Djokovic, incontro conclusosi ieri poco dopo le 16.00 in 5 set, frazionati in due giorni, a causa della pioggia.

Rafael Nadal invece aveva concluso venerdì il match giocato contro l’eterno rivale Roger Federer, vinto in 3 set in poco più di 2 ore, quindi è arrivato a questa finale fresco e riposato in un tabellone dove non aveva dei rivali così agguerriti, o almeno capaci minimamente di metterlo in difficoltà. Ancor più discutibile, però, è stata sicuramente la decisione presa dall’organizzazione di riprendere il sabato il match tra Djokovic e Thiem (sospeso il venerdì sul punteggio 6-2, 3-6, 3-1 per Thiem), dal momento che il giorno prima c’era ancora il sole a Parigi, seppur il vento indomabile soffiasse imperterrito. Decisione che ha sicuramente svantaggiato Thiem, costretto a giocare il sabato un match combattuto, senza neanche un giorno di riposo. Se lo avesse avuto, le cose sarebbero andate diveramente?

Il match inizia in maniera agguerrita tra i due rivali: nei primi 7 game si assiste ad una vera e propria battaglia, in cui nessuno dei due vuole cedere terreno: anzi Thiem è anche capace di portarsi in vantaggio di un break 3-2, salvo poi subire il ritorno sovrastante di Nadal e finisce con il perdere 6-3, subendo una rimonta di 4 games consecutivi. Il secondo set vede un maggior equilibrio dal punto di vista dei rispettivi servizi: entrambi mantengono la battuta, senza concedere più di due punti al ricevitore, fino al fatidico dodicesimo game, in cui Thiem riesce a trovare un ottimo game in risposta ed è capace di issarsi sul 7-5. L’austriaco sembra aver cambiato tattica: riesce ad essere più incisivo con il servizio (69% di prime palle), risparmiando energie, senza dover intraprendere ogni volta una battaglia con Nadal, come era avvenuto invece nel primo set che aveva anche perso (memore del fatto di non avere molto serbatoio nelle gambe, a causa delle maratone dei giorni precedenti).

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Finito il secondo set, Rafa va nello spogliatoio: il pubblico, ma anche lo stesso Thiem con la vittoria del secondo parziale si illude di potersi opporre al destino sveviano ineluttabile, destino che vuole che Rafa nel terzo e quarto parziale domini il match. E come un eroe tragico, Thiem non può far altro che arrendersi all’inevitabile fortuna avversa che non vuole altri vincitori, all’infuori di Rafael Nadal. Rientrato dagli spogliatoi infatti, Nadal è un cannibale: digrigna i denti, mostra i muscoli, è capace di lasciare appena due game al suo sfortunato avversario nei successivi 2 set. Perché questo è Nadal, possessore di una forza mentale paurosa: chiunque si aspettava che dopo il secondo set, Thiem potesse finalmente batterlo; ma è solo una mera illusione, Thiem cade vittima della forza strepitosa di Nadal. E allora Thiem, frastornato psicologicamente, crolla anche fisicamente e si arrende alla frase “game, set and match”.

Da un punto di vista tattico, Thiem ha cercato di variare: in risposta in alcuni casi ha tentato di stare vicino al campo, soprattutto al servizio mancino di Nadal da sinistra sul rovescio dell’austriaco, in altri casi ha cercato di rispondere 3 metri lontano dalla linea di fondo per far partire lo scambio. Questa tattica però ha funzionato solo in parte, perché Nadal offriva sempre palle alte sul rovescio monomane dell’austriaco, che toglievano il tempo a Thiem e permettevano allo spagnolo con il colpo successivo di entrare dentro al campo e chiudere il punto.

La sensazione è che per cercare di vincere contro Nadal sulla terra battuta, o per almeno fare partita pari, è necessario essere molto forti dalla parte del rovescio: non a caso Nadal ha sofferto sulla terra avversari come Djokovic (gran rovescio bimane), Fognini (capace di giocare con anticipo con il suo rovescio esplosivo sul dritto di Nadal), ma anche Thiem che ha nel suo rovescio ad una mano un colpo estremamente efficace che gli garantisce molti punti. Non bisogna dimenticare che l’austriaco è stato in grado almeno una volta all’anno negli ultimi 4 anni di battere Nadal sulla terra battuta (Buenos Aires 2016, Roma 2017, Madrid 2018 e Barcellona quest’anno).

Ma ieri era la giornata di un grandissimo, sontuoso, immortale Rafael Nadal. Thiem ha provato a fare partita pari, nonostante le quasi 4 ore di fatica della semifinale di sabato, ma è stato schiacciato dalla morsa dello spagnolo. Nel discorso di premiazione, l’austriaco ha promesso battaglia a Nadal per l’anno prossimo. Nadal sarà ancora in questa forma tra un anno, quando di anni ne avrà 34? Senza contare i problemi fisici, l’ultimo dei quali avuto prima della stagione su terra battuta: sul cemento nordamericano di Indian Wells era stato costretto a ritirarsi per un problema al ginocchio (evitando così il 39esimo capitolo con Federer, match che poi si sarebbe riproposto proprio a Parigi due mesi dopo).

Dopo quell’infortunio Rafa era tornato a Monte-Carlo in condizioni non proprio ottimali, perdendo in semifinale da Fognini 6-4, 6-2, futuro vincitore del torneo; aveva perso a Barcellona in due set dallo stesso Thiem, 6-4, 6-4. Sulla terra in altura di Madrid (dove la palla era più rapida), aveva perso sempre in semifinale contro l’astro nascente Tsitsipas in tre set. Ma già da quel torneo era un altro Rafa e infatti l’avrebbe confermato la settimana successiva, vincendo il torneo di Roma, battendo Djokovic in 3 set. Qualcosa era sicuramente cambiato: così è stato, infatti.

Nella simbologia il numero 12 indica la ricomposizione della totalità originaria, in cui si rinviene un modello perfetto di armonia e pienezza: il 12 permette di passare da un piano ordinario ad un piano superiore, sacro. Il 12 rappresenta la conclusione di un ciclo concluso. Tornando alle 12 vittorie a Parigi di Rafael Nadal, possiamo considerare il suo ciclo finito? Sicuramente campioni come Roger Federer e Rafael Nadal hanno nella loro indole una prova della sacralità del modello cristiano, date le loro gesta. Ma allora cosa si può chiedere di più ad un campione come Rafael Nadal? Di trascendere la sacralità, ovvio.

Ripetersi per la tredicesima volta l’anno prossimo sarà sicuramente difficile, dato che l’età avanza, che il numero e la qualità degli avversari aumenta, senza contare le infinite variabili di ogni singolo torneo; tuttavia, quale illustre avversario potrà opporsi alla Provvidenza, nonché al destino che si compie?

Donato Marrese

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