Da Petkovic a Djokovic: spacco racchette e poi?

Ci sono momenti in cui sbrocchi. E i tennisti lo sanno benissimo. Lo sfogo contro un giudice, il lancio di una racchetta. Ne abbiamo da sempre viste tante e ne vedremo ancora. A fare da spartiacque, però, è la reazione successiva alla reazione. La rabbia è un sentimento umano, la frustrazione lo è altrettanto. La capacità di ritrovare i nervi e la lucidità subito dopo è un dono, invece. E per di più a disposizione di pochissimi. Mi è venuta questa riflessione pensando all’ultima in ordine di tempo a dar vita a una (patetica) scenetta in quel di Dubai, miss Petkovic. La giovane Diyas, avanti 6-5 40-40 e servizio, approfitta di una svista arbitrale per portarsi al set point e chiudere in un attimo il primo set grazie a un errore della tedesca. Da una scala da 0 a McEnroe direi che la Petkovic si posiziona a pieno titolo ad altezza Nalbandian. Ma, al di là di questo, la Petkovic sparisce progressivamente dal campo nel secondo set. L’intemperanza, in questo caso, le è costata cara a livello mentale.

Altro nome che non si può non citare: miss Zvonareva. Us Open 2009, l’avversaria è Flavia Pennetta. La brindisina annulla sei match point e si aggiudica il secondo set. Zvonareva inveisce, dice parolacce, spacca la racchetta e, in un baleno, perde il terzo e decisivo set per 6-0.

Se passiamo ai maschietti, beh, viene facile, persino facilissimo, pensare a Fognini e a quante partite ha perso a causa delle sue (stupide e infantili) intemperanze. O al Baghdatis dell’Australian Open 2012, quando siglò un record ancora oggi imbattuto: 4 racchette spaccate consecutivamente al cambio campo, per una crisi isterica che gli costò la sconfitta contro Wawrinka. Anche Djokovic è uno spacca-racchette, magari non professionista ma con una buona media. Lo ricordo a Parigi dello scorso anno spaccarne una durante la semifinale con Gulbis. Nel quarto set, però, si è subito ritrovato e ha chiuso piuttosto agevolmente. Lo stesso Federer lo faceva, prima di diventare il più forte tennista della Storia e di comprendere l’importanza mediatica e sportiva del suo nome e della sua immagine. Essere campioni implica anche dei doveri, verso pubblico, sponsor e per chi lavora in campo con te.

Sfogarsi può far bene. Può far bene, come al solito, a chi sa trarre il meglio dal peggio. In una parola: ai campioni. Con il caro McEnroe che annuisce guardando dall’alto del suo trono, su cui starà credo (e, sinceramente, spero) incontrastato per sempre.

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