I magnifici otto: Tomas Berdych

Il tennista ceco, originario di Valasske Mezinci, è alla sua quinta apparizione alle ATP World Tour Finals, centrate grazie al raggiungimento della semifinale del Master 1000 di Parigi Bercy. Nel 2013, è arrivato al Masters senza aver vinto nemmeno un torneo, avendo giocato e perso tre finali. Nel 2014, con la vittoria a Rotterdam e Stoccolma, manca ancora qualcosa per compiere il salto di qualità. di G.Lupi

E’ iniziato tutto a Bercy, per Tomas Berdych. Era il 2005, e il ceco batte cinque top-20 uno via l’altro fino a conquistare il suo primo Masters 1000 (in finale su Ljubicic). Un paio d’anni più in là, entra in top-10. Ma ne diventa presenza stabile solo dal 2010, quando supera Federer e Djokovic raggiungendo il punto più alto della sua carriera, la finale di Wimbledon, dopo aver raggiunto pochi mesi prima la semifinale del Roland Garros. 

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Il tennista ceco, originario di Valasske Mezinci, è alla sua quinta apparizione alle ATP World Tour Finals, centrate grazie al raggiungimento della semifinale del Master 1000 di Parigi Bercy. Nel 2013, è arrivato al Masters senza aver vinto nemmeno un torneo, avendo giocato e perso tre finali. E’ un premio alla costanza dei piazzamenti, sempre premiata rispetto ai grandi exploit isolati.

Già da bambino, vincitore del prestigioso titolo nazionale under18 ad appena 16 anni, aveva dato dimostrazione di tutte le sue doti e qualità tecniche, divenendo sin da subito il pupillo del tennis ceco, con tutti i riflettori puntati su di lui, l’enfant prodige che avrebbe fatto sognare la nazione. Così è stato, ma solo in parte e per brevi tratti della sua carriera. Non sono mancate vittorie e risultati prestigiosi, ma al contempo non mancavano neppure sconfitte inaspettate e debacle assolute che, da sempre, hanno posto negli appassionati un interrogativo: resterà uno dei tanti ottimi giocatori incompiuti o riuscirà a superare la soglia dimostrandosi un campione? 

Berdych ha ormai 29 anni, che, per un tennista, rappresentano l’età dell’inizio di un declino, soprattutto a livello fisico, a dispetto anche della freschezza atletica dei giovani emergenti sempre più affamati di vittorie. Tennisticamente parlando, non ha di fronte ha sè più di 3-4 stagioni ad alto livello, fisico permettendo, e le occasioni di imporsi in tornei importanti tenderanno ad essere sempre di meno con il passare del tempo. A meno che uno non si chiami Roger Federer, o Andrè Agassi, i giorni di gloria potrebbero non essere poi così tanti, ed è importante e fondamentale riuscire a sfruttare ogni minima chance che si presenta. In un tennis ormai per ultratrentenni, c’è spazio anche per lui. “Per i puristi, guardare Berdych allenarsi con il suo coach Tomas Krupa è una delizia. E’ come ascoltare un’orchestra che esegue una sonata di Mozart per un amante della musica classica. Nei colpi di Berdych non ci sono debolezze tecniche. Quando la racchetta copisce la palla, il colpo è così pulito e perfetto da far pensare che il termine “sweet spot” sia stato creato per lui.” 

Caratterialmente non è un tipo espansivo e socievole, a detta di Stepanek. Ama la riservatezza e la calma. “In una riunione con 20 persone, lui starebbe in disparte e si limiterebbe ad ascoltare” dice Stepanek. Preferisce far parlare la racchetta. Sui social network è molto attivo invece e risulta anche essere molto simpatico ed autoironico. Spesso la stampa lo ha definito burbero o noioso per le sue risposte a monosillabi. Non è amabile come Federer e Nadal o divertente come Djokovic. Ma questo fa parte del gioco.

La sua debolezza? Non concretizza le possibilità: a riprova di ciò le 14 finali perse su 24 disputate, tra le quali alcune ghiotte possibilità sfuggite a Wimbledon 2010 (6-3 7-5 6-4 da Nadal) e nei due Masters 1000 a Miami 2010 e Madrid 2012. Proprio Tomas in una recente intervista ad una tv ceca, ha affermato di voler migliorare il suo aspetto mentale, e sembra ci stia riuscendo. “Oggi giocano tutti bene: i match si decidono su piccoli dettagli. Uno di questi è la forza mentale, e sto provando a migliorarla. Credo di esserci riuscito, ma posso ancora crescere. Spero di poter diventare un tennista ancora più forte”.

Nel 2014, Berdych ha esordito in modo scoppiettante: semifinale agli Australian Open (persa dopo quasi tre ore di gioco da Wawrinka, futuro vincitore del torneo) e le finali perse di Dubai e Oeiras. Ha raggiunto i quarti a Roland Garros, Queen’s e Us Open, il 3° turno a Wimbledon e Toronto: è stato sconfitto nella finale di Pechino con un netto 6-2 6-0 dal numero 1 al mondo Djokovic, ma si è rifatto a Parigi Bercy dove, come detto, ha perso dal canadese Milos Raonic, non prima di aver alzato al cielo il suo palmo, 5 dita per 5 partecipazioni al Master londinese, èlite mondiale per un tennista.

Il suo palmarès stagionale, non è da considerarsi fallimentare. Ha vinto i tornei di Rotterdam (in Febbraio), dove ha battuto il futuro campione degli Us Open Marin Cilic per 6-4 6-2, e lo Stockholm Open, regolando Grigor Dimitrov, vincitore della passata edizione, con i parziali di 5-7 6-4 6-4. I due titoli sul cemento indoor lo hanno proiettato definitivamente tra i tennisti che si troveranno meglio sul veloce dell’O2 Arena, dove però è stato inserito all’interno del Gruppo A tutt’altro che agevole. E’ in netto svantaggio negli scontri diretti con Novak Djokovic (16-2) e Stan Wawrinka (9-5), mentre si trova in vantaggio di una lunghezza nei match con Marin Cilic (5-4).

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Giorgio Lupi (twitter: lupi_giorgio)

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