Leo Borg: l’ultimo tennista figlio d’arte

I Borg. Una serie televisiva oppure una nuova dinastia tennistica? Ovviamente una generazione di fenomeni del tennis, o almeno si spera: qualche giorno fa, il figlio di Bjorn Borg, Leo, ha vinto il campionato svedese di singolare under 16 per il secondo anno di fila, bissando quello under 14 che vinse sia in singolare che in doppio. 
Figlio della terza moglie Patricia Östfeldt (sposata nel 2002 dopo i divorzi da Mariana Simionescu e Loredana Bertè), Leo Borg è nato l’anno dopo, e già a 3 anni ha cominciato giocare a tennis, lo sport che ha reso grande il padre, sino a diventare il più forte in Svezia, palmares alla mano ovviamente: “In Leo crediamo fortemente e lavoreremo duramente per poterlo sviluppare ulteriormente”, ha dichiarato il suo allenatore Rickard Billing al quotidiano Aftonbladet. Non è il solo, infatti, anche l’ex tennista svedese Mats Wilander ha spiegato: “È un buon talento, riservato come il padre senza averne la freddezza. Se saprà gestire la pressione del confronto, credo potrà diventare un buon professionista. Leo farebbe conoscere il tennis ai bambini, come Björn lo fece scoprire a me davanti ai due canali della tv pubblica.”
Il talento 15enne, che ha recitato la parte del padre da piccolo nel film “Borg vs McEnroe”, è uguale al padre, dai capelli biondi agli occhi azzurri, fino alla freddezza in campo e allo stesso sponsor tecnico: Fila, ovviamente. L’obiettivo, ovviamente, è diventare professionista, continuando a viaggiare e vincere in giro per l’Europa, per guadagnarsi le prime wild card per i tornei Slam juniores, con il sogno di vincere Wimbledon, come il padre, trionfatore nel Tempio londinese 5 volte, consecutive, oltre a 6 trionfi al Roland Garros: un possibile binomio è scongiurato dall’ex numero 1 al mondo, ma Leo riuscirà ad imitarlo?
Il futuro è difficile da prevedere, anche se la strada è tracciata: intanto, aspettando possibili futuri successi, ecco una carrellata dei figli d’arte che hanno disputato una buona carriera da professionisti. 

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[tps_title] ROGER-VASSELIN[/tps_title]

Tre nomi, due passaporti, un rovescio a una mano che sembra uscito da un manuale degli anni ’30. Così Curry Kirkpatrick descrive su Sports Illustrated Christophe Roger-Vasselin, sorprendente semifinalista del Roland Garros 1983. Ha perso sei volte al primo turno nello slam di casa il francese di madre inglese, di Putney.  Roger-Vasselin, numero 129 del mondo, alla Porte d’Auteuil rimonta uno svantaggio di due set al terzo turno contro Heinz Gunthardt e firma la grande impresa nei quarti di finale. Roger-Vasselin, in quel momento noto solo per aver giocato qualche anno prima con la “racchetta spaghetti” (perdendoci in finale da Vilas alla Coppa Porée del 1977), batte Jimmy Connors 64 64 76 e arriva in semifinale contro Yannick Noah. Sono i primi francesi in semifinale nello slam di casa dal 1972, quando ci arrivò Patrick Proisy, il cognato di Noah, che nel 1983 firmerà l’unica vittoria transalpina al Roland Garros e l’ultima in un major nell’era open.
Da anni Christophe si occupa della scuola di tennis Flandrin. Da quando ha smesso di giocare ha organizzato stage di tennis, ha seguito ragazzi giovani, allenando la nazionale juniores francese e il figlio Edouard, tra i 15 e i 17 anni. “Trent’anni fa era molto più facile arrivare top-100” ha detto in un’intervista a Le Figaro. “Oggi il tennis è uno sport olimpico, è uno sport globale, si guadagna molto di più, c’è la televisione: insomma, è un altro mondo”. Al Roland Garros non è mai andato oltre il terzo turno, raggiunto alla prima partecipazione, nel 2007. Nel 2009 rimane profondamente toccato dalla morte di Mathieu Montcourt. A fine 2009 ottiene la sua prima vittoria contro un top-20 in carriera, battendo Juan Martin Del Potro a Tokyo, dove piega anche Jurgen Melzer prima di cedere nei quarti contro Lleyton Hewitt. A giugno 2012 ha toccato il suo best ranking, di numero 67 del mondo, culmine di una stagione che l’ha visto giocare tre quarti di finale nel circuito maggiore: a Marsiglia, a ‘s-Hertogenbosch e a Mosca. Nel 2014 però ha raggiunto addirittura la posizione numero 35 al mondo, in seguito alle due finali in poco tempo di Delray Beach e Chennai.
Ma grandi soddisfazioni sono arrivate nel doppio, quello maschile in coppia con Nicholas Mahut, presenti anche nella squadra di Coppa Davis, vincendo il RG 2014 e ottenendo le semifinali alle Finals nello stesso anno e raggiungendo la finale a Wimbledon nel 2016, e quello misto, con le due semifinali di fila a Parigi. Vanta un best ranking di sesto al mondo e nel paese transalpino verrà certamente ricordato per le grandi vittorie ottenute in questa specialità. Il padre si è tolto la soddisfazione di vincere due trofei, a Parigi e Vienna, mentre il figlio ha brillato in doppio: i Roger-Vasselin, nati per sorprendere.

[tps_title]RUUD[/tps_title]

Casper Ruud, nato il 22 Dicembre 1998 ad Oslo, Norvegia, comincia a giocare a tennis all’età di soli quattro anni, accompagnato dal padre Christian, ex tennista professionista che in carriera riuscì a spingersi fino alla trentanovesima posizione della classifica mondiale. La sua superficie preferita è la terra battuta e il suo idolo è uno che di terra se ne intende sicuramente, ovvero Rafael Nadal. A 4 anni grazie al padre prende in mano la prima racchetta e, sin dai primi colpi, lascia intravedere doti coordinative fuori dal comune. Christian decide però di non iscrivere il piccolo Casper a tanti tornei Tennis Europe nelle categorie under 12, 14 e 16, tanto è vero che Ruud arriverà a mala pena tra i Top-100 under 16. Giunto nel circuito ITF under 18 la musica cambia: Casper vince e convince sino a raggiungere la prima posizione mondiale nel gennaio del 2016. L’anno scorso Casper Ruud ha sorpreso il mondo del tennis raggiungendo, al terzo torneo Atp della carriera, la semifinale nel ‘500’ di Rio de Janeiro, dopo aver vinto due futures in Finlandia e in Spagna, dove, qualche mese dopo, a Siviglia, ha vinto il primo Challenger. Nel 2016 Ruud è passato dal numero 1126 alla piazza 233 Atp, mentre in due mesi di 2017 ha guadagnato 100 posizioni: quest’anno invece è stato speciale, tra Slam e tornei minori Atp. Al secondo tentativo, dopo quello fallimentare dello scorso anno, riesce a superare le qualificazioni al Roland Garros, per poi vincere il primo turno contro l’australiano Jordan Thompson (sconfitto in cinque set) ed uscire al successivo contro una sua vecchia conoscenza: Albert Ramos-Vinolas. In seguito al Roland Garros non riesce ad ottenere vittorie interessanti, fino a ieri, quando ha sconfitto in due set David Ferrer, per poi perdere oggi contro Richard Gasquet. Attualmente alla posizione numero 147 del ranking ATP e al decimo posto nella Race To Milan, la speciale classifica riservata a tutti i tennisti in corsa per le NextGen ATP Finals: farà meglio dell’unica finale raggiunta, e persa, in Svezia da papà Chris? 

[tps_title]KRISHNAN[/tps_title]

I Krishnan sono di sicuro la coppia padre-figlio di maggior successo nella storia del tennis. Negli anni Sessanta, Ramanathan Krishnan era l’indiano più noto all’estero dopo il primo ministro Nehru, che l’ha invitato a colazione dopo averlo visto battere Drobny al primo turno a Wimbledon nel 1956. Il suo tennis è un misto di estetica e metodo, tra classicismo e barocco. Per Lance Tingey, del Telegraph, “il gioco è il massimo del fascino orientale”. A Wimbledon è stato fermato tre volte in semifinale, da Neale Fraser nel 1960 e da Rod Laver l’anno successivo. Nel 1960 ha anche rifiutato la proposta di Jack Kramer che gli ha offerto 150 mila dollari per passare professionista: è considerato tra i più forti giocatori del circuito pre-Era Open. Il momento più straordinario della sua vita è quando a nove anni, Krishnan si prostra e tocca i piedi del Mahatma Gandhi: “Non posso descrivere quella sensazione. È il mio eroe, penso che quel momento abbia influenzato e guidato tutta la mia vita.”
La carriera del figlio Ramesh segue la via tracciata dal padre. Anche lui vince il titolo junior a Wimbledon, nel 1979, dopo aver trionfato poche settimane prima al Roland Garros. Diventa così il numero 1 del mondo junior. Ai Championships arriva fino ai quarti di finale nel 1986, un traguardo che tocca per due volte agli Us Open, nel 1981 e nel 1987, ma al suo stile fatto di anticipo e tocco manca un servizio potente e un colpo “killer” per fare l’ulteriore salto di qualità e competere con i primissimi nel lungo periodo. Nel 1987 porta l’India in finale di Davis: è lui che apre e chiude la semifinale contro l’Australia. Batte Fitzgerald nel primo singolare e Wally Masur in tre set nel quinto. In finale, però, la Svezia di Wilander si impone 5-0. Ha lasciato il tennis nel 1993, con otto titoli ATP all’attivo e un best ranking di numero 23 del mondo raggiunto il 28 gennaio 1985: stabilmente tra i primi 30 al mondo, è considerato tra i migliori del panorama orientale.

[tps_title]DOLGOPOLOV[/tps_title]

Oleksandr Dolgopolov Sr. (1964), padre dell’omonimo talento ucraino Oleksandr jr. (1988). Essere un professionista nell’URSS, sino alla caduta della “cortina di ferro”, era però qualcosa di molto complicato e tutto sommato privo di significato, visto che i giocatori erano costantemente limitati nei propri spostamenti: non abbiamo quindi modo di sapere quale fosse la reale caratura di questo giocatore, non avendo potuto di fatto confrontarsi con nessuno (come accadde, in minor misura, a tanti altri tennisti, anche di talento, oppressi e limitati dal regime politico: pensiamo ad Olga Morozova, finalista a Parigi e Wimbledon, ad Alex Metreveli, che pure andò in finale a Wimbledon, a Vadim Borisov e soprattutto alla telentuosissima Natasha Chmyreva).
Il giovane ucraino invece, è un tennista che non è mai esploso realmente, dopo aver esordito nel 2006 nel circuito Atp: come best ranking si segnala la posizione #13 nel 2012, in un anno di transizione, invece attualmente è numero 86 al mondo. In carriera ha vinto 3 titoli: dopo Umago e Washington, solo dopo 5 anni è tornato a vincere un trofeo a Buenos Aires, quando è tornato a disputare le finali di Bastad e Shenzhen. 

[tps_title]STOLLE[/tps_title]

Da questo punto di vista gli esempi forse più significativi giungono entrambi dall’Australia: Sandon Stolle, giocatore di estrazione universitaria americana era un onesto singolarista (comunque top 50, con una sola finale persa a Nottingham) ed un ottimo doppista, arrivato al secondo posto mondiale e con all’attivo un successo agli Us Open del 1998 (in coppia col già citato ceco Cyril Suk), oltre ad altri 22 titoli, tra cui anche Indian Wells e Miami. Il padre Fred, ottimo commentatore televisivo e giornalista, è un’autentica leggenda del nostro sport: tre volte consecutive sfortunato finalista a Wimbledon (1963,1964,1965), ha un saldo di sei finali Slam perse e di due successi (Roland Garros 1965 e Us Open 1966). In doppio il grande Fred, tra l’altro anche ottimo Davisman, mise invece a segno 10 titoli, vincendo almeno una volta tutte le prove dello Slam.

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