Wimbledon, analisi della finale tra Cilic e Federer

Il croato ha le caratteristiche per impensierire lo svizzero, che resta comunque il favorito per il titolo.

Non può essere un caso che l’attuale classifica mondiale veda ai primi sei posti tutti i vincitori degli slam dal 2010 a oggi. Sono i major, volenti o nolenti, a marchiare con il ferro e il fuoco la carriera di un tennista e quella di Marin Cilic è definitivamente cambiata l’8 settembre 2014. Quel giorno, ponendo fine al miglior torneo della sua vita, il croato nativo di Medjugorje conquistò il titolo degli US Open rifilando un periodico 6-3 in finale al giapponese Kei Nishikori.

Tuttavia, anche nell’Olimpo gli dei non sono tutti uguali e, agli occhi di chi giudica, un risultato ha sempre necessità di una conferma pena l’essere emarginati e additati quali “One Slam Man”, come se esserlo fosse un crimine. Fino a ieri, Cilic apparteneva a questa categoria e il fatto di essere arrivato “tardi” al grande risultato e non avervi dato continuità (nei nove major successivi solo una semifinale, persa nettamente con Djokovic a New York nel 2015, alcuni quarti ma anche sconfitte rovinose come quella con Trungelliti al primo turno del Roland Garros 2016 o quella con Evans al secondo degli Australian Open dello scorso gennaio) faceva storcere il naso ai severissimi giudici del tennis mondiale.

Invece, anche se con i suoi tempi, il croato ha metabolizzato al meglio la sbornia newyorchese concedendosi un 2015 sabbatico (un solo titolo a Mosca) e cambiando marcia da metà del 2016, quando al suo angolo si è seduto Jonas Bjorkman, in sostituzione di Ivanisevic. Sono così arrivati i titoli di Cincinnati e Basilea, la qualificazione alle ATP Finals e la finale di Coppa Davis. Nella stagione in corso, molto deludente fino a Istanbul, il crescendo di Marin ha raggiunto il suo apice sull’erba, superficie che lo vede in testa quanto a vittorie: 12, una in più rispetto al suo prossimo avversario (che però ha perso un solo match contro i due di Cilic).

Ecco, prima di tornare a Marin Cilic e alle concrete possibilità che può avere di sovvertire il pronostico e conquistare il trofeo di Wimbledon, veniamo al suo avversario di finale: Roger Federer. Dello svizzero è già stato scritto e detto tutto e ogni volta si rischia di scivolare nella banalità o, al contrario, nella ricerca spesso strumentale e poco logica del classico pelo nell’uovo.

Per inquadrare la grandezza dell’uomo di Basilea dovrebbero bastare questi due rilievi affiancati: domani, a 36 anni meno qualche settimana, giocherà l’undicesima finale in questo torneo a 14 anni di distanza dalla prima e potrebbe diventarne il più titolato singolarista uomo (8 vittorie), record che ora condivide con William Renshaw e Pete Sampras. Eppure, dato che il campo ogni volta propone nuovi quesiti, nemmeno Zeus (restando in tema di divinità dell’Olimpo) può sentirsi del tutto al riparo dall’ipotesi che qualcuno voglia fargli lo sgambetto.

Anche se può sembrare un paradosso, il problema maggiore di Federer da giugno in poi è stato il suo clamoroso e per certi versi inatteso ritorno alla competitività. La vittoria a Melbourne e, grazie all’effetto volano, quella nel “Double Sunshine” unita  all’esorcizzazione del grande nemico Nadal (sconfitto tre volte consecutive nel giro di un paio di mesi) hanno ricreato il mostro, con tutti i pregi e i difetti del caso. Smaltito lo stupore di ritrovare (e ritrovarsi) un Federer non solo competitivo, perché quello in fondo lo è sempre stato, ma addirittura vincente negli appuntamenti più importanti, adesso i milioni di tifosi dello svizzero,  insieme alla moltitudine di addetti ai lavori che lo indicavano super favorito alla vigilia del torneo, hanno ripreso (giustamente ma pericolosamente) fiducia facendo salire al contempo la pressione attorno a Roger.

E non potrebbe essere altrimenti, trattandosi del mese dedicato all’erba, storicamente il migliore per lui. Peraltro, fatta eccezione per il claudicante debutto di Stoccarda in cui Federer ha perso con Haas dopo aver avuto il match-point, da Halle in poi il numero 5 del mondo ha infilato una striscia di 11 vittorie consecutive in cui non ha perso nemmeno uno dei 26 set (e mezzo, quello interrotto con Dolgopolov) disputati. Stando alle cifre, non sembra affatto che la pressione sia diventata un fattore negativo per l’elvetico mentre a volte il suo atteggiamento sul campo, se ben interpretato, avrebbe suggerito il contrario. Contro Berdych, ad esempio, il nervosismo è affiorato a più riprese e si è palesato con una insolita propensione al soliloquio, particolarmente nel terzo set. Ma eccoci tornati al pelo nell’uovo, ovvero alla colpevole predisposizione di andare alla ricerca di ogni piccolo dettaglio negativo quasi che nel gioco di Federer non dovessero esserci mai imperfezioni o pause.

La realtà è diversa. La realtà è che, anche senza Murray, Djokovic e Nadal, nulla è facile quanto sembra (o quanto a volte lo fa sembrare la classe dello svizzero) e, fino a prova contraria, Mischa Zverev con il suo serve-volley mancino avrebbe potuto diventare il Müller della parte bassa del tabellone, Dimitrov era in gran spolvero e i bombardieri Raonic e Berdych in passato hanno già giocato una finale ai Championships e, sui campi veloci, restano avversari temibili per chiunque. Insomma, non esiste la controprova ma siamo proprio sicuri che lo scozzese e il serbo in queste condizioni o il Nadal titubante visto contro Müller sarebbero stati test più duri e attendibili di quelli effettivamente sostenuti da Roger? Noi no. Anzi.

Come lo sarà, un avversario attendibile, certamente Marin Cilic, a dispetto del record di 1-6 negli head-to-head con Federer. Lo si sapeva fin dall’inizio del torneo che il croato era la più vagante delle mine e la sua rotta di collisione con Nadal (poi evitata dall’impresa del lussemburghese) uno degli ipotetici momenti top della 130esima edizione dei Campionati. Un anno fa, nei quarti, Cilic non riuscì a sfruttare un vantaggio di due set e tre match-points nel quarto parziale e finì per perdere 6-3 al quinto con Federer che poi pagò lo sforzo contro Raonic in semifinale.

Alla luce di tutto questo, che partita vedremo domani? Ammesso che la tensione o qualche altra variabile non influisca negativamente sulla prestazione di uno dei due finalisti (e quindi ipotizzando che il rendimento sia in linea con quello delle due settimane di torneo), i presupposti sono quelli di assistere a una classica partita da erba moderna, ovvero con la ricerca ragionata della rete da parte di entrambi (più di Federer) e l’affidamento alle percentuali del servizio. Probabilmente lo svizzero cercherà di andare di fretta e togliere ritmo a un avversario che, pur non essendo particolarmente rapido (ma lo è più di Raonic e Berdych), ha buona attitudine negli spostamenti laterali e sa stare basso sulle gambe al momento dell’impatto. Ancora di più, sempre se la sensibilità glielo consentirà, Roger proverà a sporcare la palla e variarla, cercando angoli e inversioni di rotazione (ovvero alternando top e back) per mandare fuori giri il croato.

Dal canto suo, Cilic avrà meno armi per imbarazzare l’avversario ma quelle che possiede, se assistite da buone percentuali, basteranno a garantirgli di rimanere in partita e magari approdare a uno o più tie-break, in cui sarebbero poche palle a spostare gli equilibri. Marin, come Berdych e più di Raonic, gioca piatto e questo aspetto non impensierisce troppo Federer che, invece, dovrà guardarsi dalle risposte del croato. Sul piano caratteriale, il Cilic degli ultimi mesi è certamente più maturo e tranquillo di quello che trionfò agli US Open 2014 ma non è ugualmente intrattabile al servizio. Sia mercoledì contro Müller che ieri con Querrey non sempre tutto è filato liscio e proprio tranquillità ed esperienza gli sono venute in soccorso nei momenti più difficili, traendolo dalle secche e conducendolo alla vittoria.

Delle precedenti 28 disputate in carriera, questa finale per Federer assomiglia per certi versi a quella del Roland Garros 2009 contro Robin Soderling. Allora lo svedese arrivava con lo scalpo eccellente di Nadal ed era decisamente più outsider di quanto non lo sia adesso Cilic ma ugualmente l’atmosfera circostante di grande attesa per la vittoria dello svizzero non mancò di accrescerne la tensione e il nervosismo intaccandone in parte il rendimento. Marin ovviamente confida in un esito diverso e, lungi dall’accontentarsi del già prestigioso risultato ottenuto, vorrà vincere perché non è affatto vero che non avrà nulla da perdere e c’è la sua bella differenza tra alzare il trofeo con l’ananas sul coperchio e riflettersi mestamente nel piatto riservato al secondo.

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