La brillante stella di Ashleigh Barty

A soli 22 anni era già tecnicamente una delle tenniste più complete del circuito e nel 2019 ha finalmente raccolto i frutti del duro lavoro e del talento sopraffino, sollevando il primo trofeo Slam e issandosi sul trono del ranking. Riviviamo allora i momenti topici di questa ascesa, culminata con il recente titolo alle WTA Finals di Shenzen.

Ashleigh Barty nasce a Ipswich, il 24 aprile 1996, e prende in mano la racchetta per la prima volta a soli 4 anni, a Brisbane. Sembrava troppo piccola per allenarsi, ma il suo timing sulla palla attira già lo sguardo attento di Jim Joyce, primo allenatore della piccola aussie. E già a questa età Ash è contraddistinta da una caratteristica chiave, che la guiderà sempre negli anni a venire: un’incredibile forza mentale, sia nella concentrazione, sia nella gestione del gioco.  E così la bambina diventa ragazzina e comincia a competere presto a livello internazionale, mostrandosi sempre più matura delle sue avversarie, più abile a tenere le redini del match, sopperendo così a dei mezzi fisici che, rispetto a gran parte delle sue colleghe, sono piuttosto esigui. Barty raggiungerà 1.66 metri d’altezza, con un corpo tonico e reattivo, che la rende perfetta anche per la fasi di difesa. A 13 anni vi è l’esordio nel mondo degli Itf junior e prima che ne compia 14 c’è anche il primo titolo. Meno di due anni dopo Ash sta sollevando il suo primo  – ed unico – trofeo Slam junior, sull’erba di Wimbledon, superficie su cui il tennis dell’australiana si adatta alla perfezione. Con questo successo si assicura le attenzioni del grande pubblico e a fine 2011 si issa al secondo posto del ranking junior, sua miglior classifica. Ma nel frattempo ha già esordito anche a livello pro, vincendo già i suoi primi match nel 2010 e scalando la classifica nel 2011; nonostante i tanti impegni junior, conclude l’anno al numero 669, ma soprattutto conquista la wildcard per il main draw degli Australian Open del gennaio successivo. Nei play-off supera Dell’Acqua, Rodionova e Rogowska, tutte giocatrici ben più quotate di lei, ma a Melbourne dovrà cedere all’esordio ad Anna Tatishvili. Per il resto del 2012 Barty gioca solo a livello Itf, sia in singolo che in doppio, e con una stagione impressionante entra nelle prime 200 al mondo a soli 16 anni. Nel 2013 arrivano i primi match vinti nella WTA e soprattutto a livello Slam, ma la sua dimensione la trova soprattutto in doppio, disciplina in cui riesce ad emergere già a quest’età. Ben 3 finali Slam di doppio disputate in coppia con Dellacqua, l’esperta che serve accanto ad una ragazza così precoce, anche se così matura. Nella stagione seguente fatica a tenere quel rendimento, ma raggiunge comunque due quarti di finale Slam e vince il secondo titolo in carriera. In singolare c’è da segnalare solo un interessante match, seppur perso, contro Serena Williams a Melbourne, in quello che molti tifosi speravano essere una sorta di passaggio del testimone. In realtà, pochi mesi dopo arriva un’autentica doccia fredda: Ashleigh Barty lascia la racchetta da tennis per darsi al cricket. A dir poco sorprendente, perché proprio davanti al grande salto, pronta per una svolta che poteva arrivare da un momento all’altro in singolare e una carriera ai vertici già avviata in doppio, ecco che la 18enne australiana appende la racchetta al chiodo. Ma forse in realtà non è neanche così difficile da credere che una ragazza che vive sul campo da tennis da quando ne ha memoria, che ha già girato il mondo, solcato ogni tipo di campo, che ha sulle spalle una pressione mediatica non indifferente e le aspettative di una nazione intera, possa sentire che sia tutto troppo e che perda l’essenza di questo sport sport, la bellezza dello stare in campo, la motivazione a diventare ogni giorno un po’ più forte del giorno prima. In casi come questi, una pausa è l’unica soluzione e può portare a due esiti: o si trovano nuovi stimoli di vita e si lascia al tennis giusto lo spazio di un ricordo, oppure si sente il richiamo della pallina e non si può fare a meno che assecondarlo. Per fortuna, sua e di tanti appassionati, Ash sceglie la seconda opzione e nel 2016 torna, decisa a prendersi un posto nel tennis che conta, e stare lontana dal campo l’ha resa più affamata che mai. Non è l’unico caso del genere, si pensi solo a Timea Bacsinszky, che aveva iniziato a lavorare come cameriera prima di tornare e raggiungere i suoi migliori risultati in carriera. Nel 2016 torna nei quarti di finale in un torneo WTA e capisce di essere pronta a competere con le migliori al mondo, e con un’incredibile velocità torna 325 in singolare e 263 in doppio, considerando che gioca solo per qualche mese. Il 2017 è l’anno della svolta, quello dell’approdo ai piani alti, della consacrazione.  Parte subito forte, con terzo turno a Melbourne e primo titolo WTA in Malesia, entrando per la prima volta in top100. Poi ancora ottimi piazzamenti in tutta la primavera e prima finale Premier in estate e terzo turno agli Us Open. A settembre raggiunge la finale a Wuhan, battendo ben 3 top10, e così si qualifica per il WTA Elite Trophy di Zhuhai, dove verrà sconfitta solo in semifinale. Nel frattempo in doppio raggiunge la finale al Roland Garros e a fine anno gioca le Finals con Dellacqua, ma perde all’esordio. La classifica a fine anno segna il numero 17 in singolare e 11 in doppio, ma il divertimento è solo iniziato. Nel 2018 conferma l’ottimo stato di forma e continua a vincere e convincere, avanzando agli ottavi agli Us Open, al terzo turno sia a Melbourne che a Wimbledon, vincendo a Nottingham e raggiungendo la semifinale a Wuhan. Partecipa di nuovo a Zhuhai, dove nonostante una sconfitta con Sabalenka si qualifica per le semifinali e vince poi il torneo, il più importante della sua ancor giovane carriera. Ciliegina sulla torta della grande stagione, il primo titolo Slam in doppio, in coppia con Coco Vandeweghe, che ha preso il posto della storica compagna Dellacqua dopo il ritiro di quest’ultima. Dopo aver vinto a Miami – e nel mezzo Roma e Montreal con Schuurs -, le due trionfano a New York e si qualificano per le Finals, dove perdono solo in semifinale.  Numero 15 in singolare e numero 7 in doppio, una classifica migliorata di poco, ma nel tennis c’è una regola non scritta: il primo anno serve per sorprendere, il secondo per confermare. Superate entrambe le fasi, solo a quel punto inizia la carriera vera, e Ash ce lo ha dimostrato alla grande. La prima parte del 2019 di Barty è tutta una corsa a salire: a Sydney arriva la prima vittoria su una numero 1 del mondo, Simona Halep, a Melbourne i primi quarti di finale Slam, a Miami il primo titolo Premier Mandatory, con cui irrompe nelle prime 10 del mondo. Nonostante la terra sia sempre stata la superficie su cui fatica di più, al Roland Garros firma un autentico capolavoro, rimontando una scatenata Anisimova in semifinale e trionfando poi in finale su Vondrousova. Arrampicatasi fino al numero 2 del mondo, è solo questione di poche settimane perché Ashleigh possa sollevare il trofeo di Birmingham e diventare la seconda numero 1 del mondo australiana della storia dopo Evonne Goolagong. Con classe, educazione e intelligenza la piccola bambina di 4 anni che si allenava a Brisbane si issa sul gradino più alto del mondo del tennis, e il tutto in silenzio, senza grandi clamori, senza troppa pubblicità. Quando si parla di Barty – e questo vale anche per i mesi a seguire – se ne parla sempre per i suoi risultati in campo, mai qualche foto scandalo, o uscita infelice in conferenza stampa, o una sfuriata eccessiva durante un match. In campo l’aussie ha un comportamento ineccepibile, composto ma senza mai mancare di grinta, e fuori dal campo è sorridente, gentile e solare, una forza della natura direbbe qualcuno. E così di Barty si continua a parlare, anche se un po’ meno durante l’estate, ma riesce comunque a raggiungere le semifinali a Cincinnati e Wuhan e la finale a Pechino. Prima a strappare il pass per le WTA Finals, Ash le gioca da numero 1 al mondo e da tale si comporta, sconfiggendo Bencic e Kvitova e sciupando un vantaggio di un set e un break contro Bertens. Per finire in bellezza, Barty rimonta Karolina Pliskova in semifinale e si concede il lusso di battere la campionessa in carica Elina Svitolina nell’atto conclusivo, intascando l’assegno più corposo mai visto in un torneo WTA – 4.42 milioni di dollari -.  Intanto in doppio trova una nuova compagna, Vika Azarenka, con cui raggiunge le semifinali a Miami e ha vinto a Roma, prima di raggiungere la finale a New York. Per un solo posto non si qualificano per le Finals, ma a posteriori forse è stato un bene risparmiare energie. L’anno di Barty non è ancora concluso però, visto che tra pochi giorni guiderà la sua nazione nella finale di Fed Cup, dove potrà provare a rendere ancor più epica questa stagione.

Forse la WTA non ha trovato una nuova icona di stile e spettacolo fuori dal campo, né una regina dei social, ma sicuramente ha trovato una grande interprete e campionessa, che con un tennis vario, fatto di slices e discese a rete, di servizi in kick e dritti inside-out, riesce a rimescolare tutte le carte in tavola e a competere con le migliori al mondo su qualsiasi superficie e in qualsiasi condizione. L’olimpo del tennis ha chiamato, Barty ha risposto; benvenuta Ash

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