Simona Halep vince e convince, nella semifinale dominata ieri contro la spagnola Muguruza a cui ha rifilato un incontrovertibile 61 64, vendicandosi dello scalpo della finale persa a Cincinnati la scorsa estate. Sloane Stephens dimostra che, dopo le sorelle Williams, l’unica americana a poter dire la sua nel circuito è lei. Un’altra sfida contro l’amica e rivale Keys, un’altra vittoria in due set, stavolta meno pesante rispetto alla finale degli US Open, ma comunque testimone del fatto che, tra le due, la più forte è lei.
Per la rumena questa è la terza finale al Roland Garros, la quarta in un major. La prima la disputò nel 2014, a soli 22 anni, contro Maria Sharapova, una partita bellissima durata 3 ore che, la piccola di Costanza, rischiò anche di vincere. Ma l’esperienza della siberiana le fu fatale e Simona, ancora giovane e non abituata ai grandi appuntamenti, non seppe gestire la tensione che la portò a perdere 4 giochi di fila e il titolo. Lo scorso anno, invece, partiva da assoluta favorita contro una Jelena Ostapenko ancora pressoché sconosciuta, outsider di 19 anni e appena numero 47 del mondo, con la quale si portò avanti di un set e un break per subire, anche lì, una rimonta inverosimile, con la lettone che, sull’orlo del baratro, iniziò a randellare col dritto e col rovescio, piazzando vincenti in ogni dove e lasciando senza parole e senza soluzioni la numero due del mondo costretta, ancora una volta, a rinunciare alla prima posizione mondiale e alla consacrazione sugli altari delle leggende. Tante lacrime e rimpianti per la nativa di Costanza, amata per la sua semplicità, ma non ritenuta del tutto una leader legittima per via della labilità caratteriale. Simona, quest’anno, ha disputato un ottimo Roland Garros, mettendo in riga tutte le avversarie in modo convincente, soffrendo solo nel primo set contro Riske e Kerber, ma imprimendo poi il sigillo leonino sulle parti restanti della partita. Ieri, contro Muguruza, la prestazione è stata pressoché perfetta e senza sbavature, segnale che Halep c’è ed ha voglia di vincere. Resta da capire se, stavolta, riuscirà a farlo.
Sloane Stephens è una di quelle giocatrici che non si può non amare: completa, diversa e per questo forse unica nel suo genere, rispetto al predominante universo delle picchiatrici. L’americana non tortura in modo ripetitivo la palla, non tenta di cambiarle i connotati ogni volta che la colpisce. Preferisce costruire il gioco, aprire gli angoli, accarezzare il tocco con rotazioni particolari e non sempre leggibili, ama il lungolinea, il rovescio stretto e non ricusa la rete, anzi; se può cerca di divenirne alleata. Sloane lo scorso anno, in questo periodo, si stava appena riprendendo da un infortunio pesante al piede, che l’aveva portata a non poter camminare per quasi due mesi, a doversi avvalere di una sedia a rotelle e a precipitare vertiginosamente nel ranking. Il rientro, inizialmente difficile ma culminato nelle due semifinali premier di Toronto e Cincinnati, è stato benedetto dal titolo allo US Open 2017. Partita dalla ottantaduesima posizione, ha sbancato l’Arthur Ashe senza mai colpo subire in ogni match. Un recupero incredibile, una cavalcata tennistica sensazionale, che ha conosciuto un momento di arresto solo a inizio anno, in tutta la stagione australiana, ma che in America, nella sua casa di Miami, ha ripreso vigore e non si è più arrestata. Semplicemente devastante sulla terra rossa di Stoccarda nella semifinale di Fed Cup contro la Francia e ancor di più in questo slam, dove è andata in affanno solo contro la nostra Camila Giorgi, per dilagare con giocatrici in forma come Kontaveit e Kasatkina, ragazze dall’upset facile ma non con lei.
HEAD TO HEAD
Halep e Stephens si sono già incontrate altre 7 volte in carriera e i precedenti recitano 5-2 in favore della rumena, l’ultimo proprio nel 2017 in quel di Cincinnati. Gli incontri sulla terra battuta, però, sono molto più vecchi e risalgono al 2012 a Barcellona e al 2014 agli ottavi del Roland Garros, entrambi vinti da Simona. La statunitense ha prevalso agli Australian Open del 2013, anno del suo miglior piazzamento nello slam oceanico, e a Miami nel 2015 dove raggiunse la semifinale. Se ci si basa dunque solo sui testa a testa e sulla tipologia di gioco, verrebbe da pensare che la favorita sia Halep. Ma la Sloane odierna è una giocatrice diversa, più matura e più forte sotto il piano tattico e mentale. Sente poco la pressione e vanta un rendimento nelle finali assolutamente sorprendente, ovvero 6 match finali su 6 vinti e tutti in due set, tranne quello disputato ad Acapulco contro Dominika Cibulkova nel 2016. Il pronostico sembra del tutto aperto perciò. Simona sa che non può sbagliare, perché oramai la vittoria di uno slam è ciò che le manca per impreziosire la sua indiscutibile bacheca, ornata di tanti bei risultati e piazzamenti, ma anche di scivoloni incappati nei momenti importanti, come le WTA Finals del 2014, le due finali ai French Open appunto e il titolo sfiorato a Gennaio sul cemento degli Australian Open. Sloane dal canto suo ha meno cose da dimostrare: ha già vinto uno slam, ha superato un infortunio pesantissimo al piede destro, ha un tennis che, a parte l’erba, si adatta ovunque e, seppur venticinquenne, ha la testa di una tennista navigata con al saldo molti più titoli di quanti non ottenuti. Per entrambe sarà quindi la finale delle conferme, con da una parte la numero uno del mondo che deve comprovare di essere realmente la più forte del circuito, dall’altra con l’americana che deve legittimare di non essere una meteora che ha vinto un major per caso, ma una solida realtà presente e futura e forse la vera erede delle sorelle Williams.
Appuntamento quindi per domani alle 15, sul tappeto rosso del Philippe Chatrier, per assistere alla consacrazione della nuova regina di Parigi.