I match del 2022: la finale dell’Australian Open Nadal-Medvedev, l’epica prestata al tennis.

5 ore e 23 minuti, 2-6 6-7 6-4 6-4 7-5, per una partita che non si dimentica, che va oltre il razionale, oltre i pronostici. Come una pellicola, o un poema, con il suo eroe.

Se nel finale di un film sullo sport, nel momento di maggior pathos, nella gara o partita decisiva, il protagonista a cui tutti sono affezionati, ormai nella parte conclusiva della sua carriera, quando l’età e l’usura fisica si fanno sentire, dopo uno stop di sei mesi durante il quale ha pensato di dire addio, in un torneo che non vince dal 2009, ad un passo dalla sconfitta, rimontasse il suo giovane avversario, in quel momento il più forte di tutti, penseremmo che è la solita trama, ma anche che è irrealistico. Ebbene è quello che è successo nella finale dell’Open d’Australia, è quello che ha fatto Rafa Nadal. Ambientazione Rod Laver Arena, Melbourne.

Fino al 3-2 del 3° set il copione è tutt’altro che cinematografico, tutto sta andando come (giustamente) si era previsto, perché anche se Nadal veniva dalla vittoria del 250 giocato sempre a Melbourne c’erano comunque stati, come detto sopra, sei mesi di lontananza dalle competizioni, e dubbi, e perché dall’altra parte della rete c’era il numero 2 al mondo, campione degli ultimi US Open, Daniil Medvedev.

Il colpo di scena sembra impossibile, Medvedev è avanti di 2 set e 0-40 sul servizio del maiorchino, l’epilogo non sembra solo scontato ma anche vicino. Nessuno crede veramente che Nadal abbia speranze neanche solo di allungare il match, figuriamoci vincerlo. Ma l’unico che ci crede, e che ci crede sempre, è l’unico che deve farlo, ed è proprio Rafa. Come ha sempre fatto lui pensa a vincere il prossimo punto, e niente di più. Da quello 0-40 si può arrivare a 15-40, 30-40, 40-40 e così via, fino a tenere il turno di battuta, portarsi 3-3 e poi di nuovo un punto alla volta, e vedere quello che succede. D’altronde anche le imprese si fanno un punto alla volta.

E in quel game del 3-2, nella terza delle tre palle break annullate, Nadal fa un altro gesto importante e indicativo, guarda il pubblico e cerca un sostegno di cui ha ormai sempre più bisogno, e di cui a maggior ragione aveva bisogno quel giorno. L’allora 20 volte campione Slam, in un crescente capolavoro tattico, rimane attaccato nel punteggio e sul 4-4 del terzo set è lui a portare l’assalto al servizio di Medvedev, chiudendo il parziale 6-4. È 6-4 Nadal anche nel quarto set, si va al quinto, e forse senza neanche rendersene conto si sta assistendo all’impensabile, sicuramente agevolato, va detto, da un Medvedev a tratti un po’ arrendevole, o troppo per il suo status, anche da un punto di vista tattico, davanti all’epopea della rimonta.

Il quinto set è una storia diversa, una storia a sé, e il finale è una partita dentro la partita. Nadal esegue il break sul 2-2 ma questa volta la reazione del russo arriva, e arriva in extremis. Sul 5-4 Rafa serve per il match, e per il titolo, è 30-0, l’impensabile è avvenuto, ma con la tensione che colpisce tutti, anche chi ha vinto 92 titoli, e un Medvedev che non molla, il game si complica, fino al controbreak. La magia della favola si rompe all’improvviso, la realtà sembra ri-irrompere sulla Rod Laver Arena.

In questa finale però di terreno non c’è nulla. Rafa resetta immediatamente l’enorme occasione sfumata, che avrebbe abbattuto moralmente chiunque, mentre Medvedev torna in confusione. Nadal breakka di nuovo e questa volta, sul 6-5, chiude senza problemi. La logica si è arresa all’impossibile, si è arresa a Rafa Nadal.

5 ore e 23 minuti per un risultato che era l’unico inimmaginabile, in un match che è un manifesto non solo di chi è Rafael Nadal Parera, ma di cos’è il tennis.

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