Happy birthday, Sir Andy

Compie oggi trentatré anni l’unico essere vivente in grado rubare lo scettro ai tre tenori, meritandosi un posto nei proverbiali fab four, giocatore tenace che oggi lotta contro i problemi fisici che lo tormentano da anni.

La tentazione concreta di dedicarsi al calcio seguendo le orme del nonno materno (Roy Erskine, che a sua volta ha avuto le stesse due alternative) c’è stata, ma alla fine Andy, nato a Glasgow il 15 maggio 1987, ha scelto il tennis. Lui non poteva saperlo, ma con quella decisione si è cacciato in un bel ginepraio con il quasi gemello Novak Djokovic e con Rafa Nadal più vecchio di un anno soltanto, per tacere di quello svizzero dall’ombra piuttosto ingombrante. D’altra parte doveva esserci una predisposizione genetica, visto che il fratello Jamie è un grande doppista, più volte campione Slam. I due, tra le altre cose, sono scampati alla strage di Dunblane, quando un uomo è entrato nella scuola elementare locale e ha aperto il fuoco uccidendo 16 bambini e un’insegnante prima di togliersi la vita. L’episodio (13 marzo 1996) ha lasciato un segno profondo nella comunità e certamente anche nei due ragazzini che all’epoca avevano otto e nove anni e che hanno trovato rifugio nell’ufficio del preside.

La carriera di Andy, accompagnata da qualche problema fisico e da una certa irrequietezza caratteriale, ha una lunga prima fase di ottimi risultati e progressi (Us Open juniores nel 2004, top 10 nel 2007, prima finale Slam e primo Master1000 nel 2008, numero 2 del ranking nel 2009), ma conosce la svolta nel 2012 con l’oro olimpico di Londra e il primo titolo Slam a New York, anche grazie alla guida tecnica di Lendl, che spinge lo scozzese a una maggiore aggressività. Il gioco di Murray, a volte criticato per la passività, rimane caratterizzato da un’ottima fase difensiva in grado di trasformarsi all’improvviso in offensiva, ma cresce in termini di sicurezza e capacità di prendere l’iniziativa. Il quadriennio fra il 2012 e il 2016 è costellato di successi, dai due storici ori olimpici nel singolare a Londra e Rio, ai tre Slam, passando per le decine di trofei sollevati e la coppa Davis del 2015.Traguardi straordinari che visti adesso, in controluce, assumono forse ancora più valore perché, come si è dimostrato più avanti, non erano agevolati dal naturale crepuscolo di Federer e Nadal. Il 2016 sembra l’inizio di una nuova era, quella in cui il Ringo Starr dei Fab Four si trasforma nel frontman del gruppo. Con Federer e Nadal in – apparente – prerottamazione e Nole un po’ sazio, Sir Andy Murray raggiunge tre finali Slam, si aggiudica per la prima volta le finals e chiude l’anno sul trono del ranking: nessuno aveva mai guardato dall’alto quei tre contemporaneamente. Ci sono le premesse per prendersi tutto ciò che manca nel suo palmares, dagli Open d’Australia (dopo cinque finali perse) al Roland Garros (sfiorato nel 2016) per chiudere quantomeno il career grande slam. Invece la sorte beffarda ha in serbo cadute rovinose da quelle vette. Dopo l’eliminazione precoce in Australia con Zverev senior, Andy non trova più continuità di gioco e del 2017, che termina a luglio, si salvano solo la vittoria di Dubai e la semifinale di Parigi. I problemi all’anca lo tormentano e lo costringono a due interventi chirurgici (nel gennaio 2018 e di nuovo l’anno seguente) e i tentativi di rientro sono segnati da un’estrema sofferenza e da un alternarsi di ottimismo e sconforto.Riguardando la storia dello scozzese, non possiamo dimenticare la vittoria di Wimbledon 2013, il primo britannico a riuscirci 77 anni dopo Fred Perry. Ma anche gli ultimi anni, quelli tristi e duri, hanno riservato emozioni vere e vibranti. Sì, perché in fondo il cuore del campione si manifesta nei momenti più difficili, quando le forze mancano e gli avvoltoi volano in cerchio aspettando il pasto. Ecco, dopo i soffertissimi esperimenti del 2018, è nel 2019 che il come back di Andy assume tinte romantiche ed epiche. Il primo turno degli Australian Open è una partita strana e indimenticabile con il gusto di un addio. Baustista Agut dimostra una grande mentalità nel non lasciarsi distrarre dal clima fortemente emotivo, Andy lotta come ci si attendeva da lui: va sotto due a zero, ma con due tiebreak riesce in qualche modo a trascinare la gara al quinto set, dove sono le oltre quattro ore di gioco a piegarlo, valide alleate del regolare spagnolo. Lo sforzo di Murray è commovente, così come i videomessaggi di arrivederci di tutto il circuito a fine partita.

Il nuovo rientro è cauto, vissuto un passo alla volta, evitando i match degli Slam, troppo lunghi e usuranti. La vittoria in doppio con Feliciano Lopez al Queens è una bella sensazione, ma bisognerà pazientare ancora qualche mese perché il nostro eroe, precipitato fino alla posizione 839 del ranking, possa alzare un trofeo in singolare. È il 20 ottobre e, dopo le buone sensazioni ritrovate nello swing asiatico, Andy si guadagna la finale vintage dell’Atp 250 di Anversa contro Wawrinka. Una bella pagina di tennis, un momento in cui il cuore non sa davvero da che parte stare, assistendo allo scontro tra due campioni purosangue che non si sono mai arresi al fato. È ben difficile in questo periodo storico vedere tanti Slam in campo senza che ci siano di mezzo i soliti tre. Alla fine è Murray a vincerla, con lo sguardo già annebbiato di lacrime (il suo ma anche il nostro). Lì tutti abbiamo pensato che il suo ritorno potesse completarsi con un 2020 da protagonista, invece il nuovo infortunio in Davis cup ha complicato le cose.

Adesso, con il circuito ai box a tempo indeterminato, Andy sta cercando di recuperare con calma, con l’esperienza di chi ha imparato a conoscere il proprio corpo e a rispettarne i limiti. Intanto si gode la compagnia della moglie Kim e dei tre figli Sofia Olivia, Edie e Teddy Barron, sempre preziosa per chi è abituato a vivere con le valigie in mano. Ok Andy, quando si compiono 33 anni  nessuno può fare a meno di commentare ah, come Gesù, perciò non mi sottraggo a questa tradizione: forza Andy, è senza dubbio l’età giusta per risorgere.

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