Musetti: uno Slam (junior) non basta…

Però, per emergere a livello assoluto, di certo può aiutare… Attenzione tuttavia, dato che per i suoi connazionali che l’hanno felicemente preceduto nell’alzare da ragazzini un trofeo prestigioso, 2 + 2 non ha (praticamente mai) fatto 4! Un monito da non ignorare, e tanti -piccoli e grandi- errori da non ripetere. Dacci dentro Lorenzo, tu e quelli che ti seguono… Di Renato Borrelli.

Tra i tanti quesiti tennistici che la prima parte di stagione aveva posto sul tavolo, prima dello stop forzato causa coronavirus (sempre stramaledetto sia!), e che giocoforza potranno trovar risposta solo più in là, ce n’è uno che risulta di particolare interesse per gli appassionati italiani: anche perché propone interessanti comparazioni col passato, relativamente recente e non solo. Ci riferiamo alle possibilità che ha di emergere pure fra i ‘grandi’ un vincitore di Slam junior, quale il nostro Lorenzo Musetti.

Riavvolgiamo brevemente il nastro: il carrarese fresco maggiorenne (18 anni compiuti ai primi di marzo) ha avuto un eccellente percorso fra i giovani, raggiungendo il numero uno della classifica mondiale dopo aver trionfato agli Australian open 2019 -battuto all’ultimo atto lo statunitense Emilio Nava-, completando un ideale percorso che era cominciato agli Us open dell’anno prima, quando aveva ceduto solo in finale al brasiliano Thiago Seyboth Wild. Questo per dire che, aldilà dell’acuto di Melbourne, l’azzurrino ha raggiunto man mano i vertici, il che già di per sé potrebbe testimoniare di una crescita continua, che lascia ben sperare per il suo futuro da pro. La storia ci insegna però che non è sufficiente compiere sfracelli da junior, per avere un futuro assicurato anche ai massimi livelli : ed è su questo assunto che focalizzeremo la nostra attenzione, dando un’occhiata a quanto avvenuto nei… precedenti (in particolar modo rispetto ai suoi connazionali). E ricordando che, nello specifico, l’entourage tecnico di Lorenzo -guidato da Simone Tartarini- aveva deciso già nel corso del 2019 di abbandonare il circuito Junior, per cimentarsi subito con i big: scelta opportuna, se si pensa che Riccardo Piatti per il suo pupillo Jannik Sinner (l’altra grande speranza tricolore, anzi ormai già di più…) si era convinto a suo tempo di ‘saltare’ del tutto il passaggio fra i coetanei.

Lorenzo Musetti

Restiamo ai maschietti (per le ragazze il discorso è ancor più complesso, data la diversa maturazione fisica e mentale, nei tempi intendiamo, delle ‘girls’): prima di Musetti avevano sollevato trofei Slam quattro italiani, uno dei quali per ben due volte. Si tratta di Andrea Gaudenzi -Roland Garros e New York nell’anno di grazia 1990-, prima ancora di lui Corrado Barazzutti a Parigi 1971, Diego Nargiso -Wimbledon 87-, successivamente Gianluigi Quinzi -ancora a Londra, nel 2013-. Anche ad occhio, senza necessità di approfondimenti, si nota come il solo attuate c.t. delle Nazionali abbia dato luogo ad una carriera rimarchevole, col picco del numero 7 del ranking mondiale (nonostante la… concorrenza interna di un certo Adriano Panatta, certo più di lui tecnicamente dotato). Si è salvato, se vogliamo, il bi-slammer Gaudenzi, in seguito top 20 ma nulla di più, il quale tuttavia è stato assai spesso alle prese con infortuni che ne hanno ostacolato il cammino: peccato, perché mezzo grande Slam di categoria a 17 anni prometteva assai di più, e perché in fondo il carattere un po’, come dire, eccessivamente estroverso non lo ha troppo aiutato. Gli ha dato tuttavia un notevole appoggio nella sua vita post-agonistica, in fondo: manager di livello internazionale, è da pochi mesi il gran capo dell’ ATP, e non c’è dubbio che alla fine dei giochi sarà ricordato più per questo che non per le sue performances sul terreno di gioco (butta via, comunque…).

Veniamo alle dolenti note. Sul mancino napoletano, tutto talento e tecnica, gli esperti giuravano: sarà un crack anche a livello assoluto… Niente da fare: non salirà oltre la 67esima posizione, mai un acuto, appena meglio nel doppio (ove il gioco di rete conta: e lui non era a digiuno della materia, anzi…). Chi lo conosce parla di un carattere forse un po’ troppo fragile, da bravo ragazzo: e se non sei, almeno un minimo, figlio di…, è difficile emergere nel tennis, o nello sport più in generale (a meno che non sei Federer, unto dalle divinità). Ed anche nella vita tout court, tutto sommato. Aggiungete una solerzia negli allenamenti e nella preparazione atletica non proprio da top ten -grandi mezzi atletici di partenza, alto e potente, ma se non ci lavori su finisci col diventare poco mobile sul campo: ed è l’inizio della fine…-. Comunque, consoliamoci, abbiamo guadagnato un buonissimo commentatore televisivo, grazie all’intelligenza di fondo, i modi garbati e l’eloquio fluente: pure in tal caso, meglio di niente.

Dopo la nota dolente, quella… dolentissima. Che ha un volto ben preciso, quello angelico di Gianluigi Quinzi. Poniamo in premessa un aspetto necessario: il ragazzo è appena 24enne -al pari di Matteo Berrettini, per intenderci-, in teoria ha tutto il tempo per smentirci (ne saremmo ben lieti). Ma, come diceva l’agnello alla vigilia di Pasqua “gli atti ‘nnen belli” -antica massima in vernacolo umbro, che non abbisogna di traduzione-… Qui siamo in presenza di un mistero, e non gaudioso: sinistrorso pure lui, buon fisico, fatto il gran salto si è perduto; ma subito, al volo, come non avesse mai giocato a tennis prima! I soliti esperti dicono che avrebbe avuto bisogno di lavorare sulla tecnica, da perfezionare in vari aspetti, mentre la grinta, la ‘garra’, almeno da baby sembrava la sua arma migliore. Aggiungeteci -son sempre quelli che se ne intendono a parlare- che è precipitato ben presto in una spirale perversa, dovuta al fatto che le prime delusioni lo hanno spinto a cambiare staff spesso e volentieri, alla spasmodica ricerca del coach ideale: finendo col non trovare quella stabilità che appare indispensabile per lavorare su obiettivi non di breve termine, come dovrebbe essere. Presto e bene insomma, nello sport della racchetta, è una combinazione che assai raramente si verifica. Che dire allora? Come per Camila Giorgi, pur con motivi differenti, continuiamo ottimisticamente a pensare che (la buonanima del maestro Manzi insegna) ‘non è mai troppo tardi’: però il tempo stringe, ed i margini si riducono.

Veniamo al nostro Lorenzino: la pandemia ha azzerato ogni cosa, stava iniziando a combinare qualcosa di buono, adesso (quando?) si dovrà ricominciare da capo -lui come tutti, peraltro-. Fossimo parte del suo equipaggio, penseremmo anzitutto a cercar di non ripetere gli errori nei quali sono incorsi i suoi predecessori: vale a dire lavorare assai in primis sulla parte atletica, ormai imprescindibile. Avete notato come un top ten possa benissimo perdere ormai dal numero 100, ove risulti appena meno preparato fisicamente del consueto? Una volta ti salvavi col superiore talento, adesso è difficile. E poi, buttarsi a corpo morto sugli aspetti da perfezionare dal punto di vista tecnico: lo fa Roger a quasi 40 anni, perché dovrebbe soprassedere a ciò un ragazzino? Non lo farà, statene sicuri, ma è dura dura dura…La base c’è però, e non è poco. La testa, ecco un altro aspetto super primario: il mental coach è diventata nel tempo una figura allo stesso livello di importanza di tecnico e preparatore, e negli ultimi anni -da quando Dijokovic ha… sdoganato la problematica, per i suoi problemi di intolleranza- anche l’educatore alimentare. Che significa, per riassumere il tutto? Che l’atleta che va in campo è la risultante di un lavoro di squadra a livello scientifico, cui lui aggiunge -se ce l’ha- l’estro, la fantasia ed il coraggio che finiscono col fare la differenza: tra l’essere un campione, o uno dei tanti. Nulla deve essere lasciato al caso insomma, ed errori non sono ammessi in tale frastagliato percorso. Poi devi appellarti alla divina provvidenza, per non incorrere in problemi di salute che possono ammazzare un toro (basti fare due esempi, senza tanti commenti ulteriori: Murray e Del Potro).

La ricetta dunque è semplice, banale addirittura: ma devono esser validi gli ingredienti, e la mano dello chef è necessario si faccia sentire. Non vediamo l’ora di… assaggiare la pietanza Musetti: con l’avvertenza, non banale, che i tempi di preparazione potrebbero non essere rapidissimi. Si spera solo di non morir di fame, nel frattempo…

Di Renato Borrelli 

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